SAN BERNARDO DA CORLEONE

Un’antica novena popolare, rivolta al frate cappuccino Bernardo da Corleone, canonizzato da Giovanni Paolo II il 10 giugno 2001, recita: “E viva Bernardo Il gran Penitente fu giusto e prudente. Il Cielo acquistò”, quasi a indicare nella penitenza la caratteristica principale dell’itinerario di santità seguito dal corleonese”. Anche l’inno in onore del santo cappuccino sottolinea l’aspetto penitenziale, richiamando aspetti e momenti biografici: “prodigio ammiratissimo, di penitenza truce! E un dì le labbra bruciasi, per fallo d’un suo dire, soffre i più gravi triboli”. Del resto l’oratio della memoria liturgica ha per lungo tempo fissato il clichè di un Bernardo da Corleone che ha brillato nella Chiesa grazie alla sua “admirabili poenitentia”. Eppure l’esperienza di santità vissuta da Bernardo da Corleone abbraccia la totalità della  vita cristiana, in una parabola ascendente partita, com’è risaputo, dal vissuto dell’animosa civitas, attraverso il servizio costante alla giustizia, difesa anche con le armi, e l’esercizio di una solidarietà sociale che attingeva all’imperativo dell’amore cristiano. L’episodio decisivo per la “conversione” del giovane Filippo Latino, “la prima spada di Sicilia”, in uno dei circa cinquecento frati cappuccini, tanti ne contava la gloriosa Provincia palermitana quando il giovane corleonese varcò la soglia del convento del noviziato a Caltanissetta, è legato al duello con certo Vito Canino, vero e proprio killer di professione. Fu l’ultima volta in cui nello spadaccino di Corleone la caldizza del carattere l’aveva avuta vinta, lasciando sul campo l’orgoglio ferito del rivale. 

San Bernardo: dalla spada al cilizio, asceta prodigioso, la spada e la croce, l’onore e l’amore. Chiunque si accosti al vissuto biografico di fra Bernardo non può restare scosso dalla forza travolgente della sua coerenza nel prendere alla lettera le esigenze del vangelo, della regola francescana e delle austere costituzioni dei cappuccini. Come del resto rimane ammirati dalla sintesi armonica raggiunta dal frate cappuccino tra impegno ascetico, vita di preghiera, che arrivava a sfiorare l’unione mistica, e immersione totale nell’oggi degli uomini del suo tempo, afflitti da piaghe endemiche come l’ingiustizia, la povertà e le malattie. Non era difficile infatti per i contemporanei veder fra Bernardo circonfuso di luce, dopo aver “banchettato lautamente nell’orazione e unione divina” o incontrarlo per le strade ”con un caldaro sopra li spalli e dari la minestra ai carcerati o alli poverelli”. A quattrocento anni dalla sua nascita (6 febbraio 1605, fra Bernardo da Corleone è una conferma consolante di quel collocare “ nel Mistero dell’altare il centro pulsante della comunione e della missione dell’intero popolo cristiano” (Giovanni Paolo II). In un tempo in cui ci si teneva lontani dalla comunione quotidiana, per un qualche residuo di scrupolosità giansenistica, fra Bernardo riceveva tutti i giorni l’Eucarestia e quello era il momento in cui si sentiva “totalmente unito a Dio”. Si rammaricava quando il venerdì santo, secondo la liturgia allora vigente, non poteva comunicarsi.

Allora, sconsolato, rivolgeva alla sua anima: “o povera anima, questa malattia resti digiuna del pane degli angeli”. Nell’adorazione eucaristica fra Bernardo non lesinava tempo, anzi gli sembrava di non potere fare a meno” di stare presente con Gesù Cristo sacramentato”, convinto com’era che “non era bene lasciare il santissimo sacramento solo”. Nella chiesa dell’antico convento dei cappuccini di Partinico è custodita una tela, opera pregiata attribuita comunemente al pittore palermitano Vincenzo Manno, che raffigura un fra Bernardo luminoso in estasi mentre, comunicato da Gesù stesso, sperimenta la gioia dell’amicizia e dell’alleanza con il Signore della vita. Fra Bernardo morì a Palermo, nel convento – infermeria, sito nei paraggi della cattedrale normanna, il 12 gennaio del 1667, coronando un cammino cristianamente impegnato, ricco di fede e di opere, intercedendo per gli uomini e la città e mostrando loro, nella nudità e povertà del Verbo, prospettive d’eternità. 

Giovanni Spagnolo