Testimonianza

Testimonianza di Vito Randazzo, alunno a Marineo nell’anno scolastico 1956/57

Fu tra i primi padri che conobbi dopo il mio ingresso in collegio. Adesso non è più. È morto nonostante l’apparente sua florida salute. Sembrava che ne avesse da vendere, ma purtroppo molte volte sorella morte non rispettava le più sane e prudenti regole della natura. Un malessere, creduto in apparenza leggero, fu per lui letale. Si spense improvvisamente la notte del 7 Marzo del 1963 nel convento di Catania, nel silenzio e in atteggiamento di preghiera. Ignoriamo gli ultimi momenti della sua agonia, né si sà certe a causa di che male sia deceduto. Non credo di dire uno sproposito opinando che il Signore abbia voluto premiare la virtù nascosta di questo suo fedele servo con una visione e con una santa morte. Il Padre Tocco aveva accanto al letto il campanello che avrebbe potuto suonare in caso di pericolo, ma, stando a quel che dicono i Padri della Comunità di Catania , durante la notte non si udì nessun rumore. Credo che questo sia stata la conclusione più logicamente soprannaturale di una vita che, a giudicare dalle apparenze nulla offrì mai di straordinario. Eppure sotto le apparenze di un volto sempre ilare, giocondo, di una corporatura pingue, di una affabilità quasi loquace, si nascondevano cilizi e catenelle, che martoriavano quella carne rivestita e coperta di pezza. Pochi erano a conoscenza di queste cose, o che lui abitualmente dormisse sulla nuda tavola. Il M.R.P. Provinciale è certo uno di questi pochi che dopo la morte del nostro carissimo confratello ebbe a dire con salda convinzione: “Una figura caratteristica quella del Padre Tocco, nella quale le apparenze non lasciavano cogliere immediatamente le ricchezze interiori. Ma a stargli accanto, ad osservarlo, a stuzzicarlo, si scopriva un candore, una semplicità, una innocenza purissima che conquistava e lasciava sorpresi e ammirati”. Virtù queste che tutti ammiravano nel defunto Padre, ma di cui pochi conoscevano l’intima sorgente. La sua morte ha reso note a tutti queste cose. Tutti coloro che lo conobbero da vicino mentre era in vita, adesso esprimono, come suole la loro morte, esprimono il loro apprezzamento per le virtù non comuni di questo infaticabile apostolo. Io, come ho detto, l’ho conosciuto, gli ho parlato: fu mio professore. Alla luce di questi nuovi fatti mi spiego adesso molti atteggiamenti, che mi impressionarono allora in probandato. Lo rivedo col suo “pizzu” irsuto, tagliuzzato, unico prezioso residuo del suo portamento di missionario; col suo aspetto sempre sereno, ilare e gioviale; affabilissimo e pronto a discutere con vivo interesse con tutti: con i più piccoli e con i grandi. Di una bontà e pazienza attraente. Prediligeva particolarmente i più piccoli di cui scusava sempre le mancanze, perché, come spesso ripeteva, non agivano con malizia. Per l’opposto  destava la doppiezza e castigava con severità che avesse addotto falsi pretesti per scusarsi di una mancanza commessa. Ricordo un episodio singolarissimo. Un impressione che non potrò più cancellare dal mio animo e a cui ora do senso e spiegazione. Al momento della sua partenza dal collegio di Marineo, in seguito al suo trasferimento, ricordo che una commozione vivissima mi vinse e provai un desiderio irresistibile di stargli ancora vicino, nè sapevo quasi rassegnarmi a  lasciarlo. Tanto che dovetti quasi reprimere questo sentimento al quanto esagerato e rassegnarmi ad un affettuoso saluto. Allora mi ripromettevo quasi di poterlo in seguito rivedere e vivere con lui in comunità. Non volevo confessare questa mia impressione, forse un po’ sentimentale, infantile, per cui anche io oggi ne rido alquanto. Pur tuttavia, nel richiamare la memoria del P. Tocco alla luce dei nuovi fatti, credo di dover dare un senso ed una spiegazione più che di fanciullesco istinto a quei sentimenti, creduti eccessivi. Certo dovettero essere quelle belle virtù che dovettero conquistare il mio animo. Se al dire di uno scrittore, “una parola può compendiare una vita” nella vita del P. Tocco, non credo di errare affermando essere questa “semplicità”. Semplicità in tutto. Dietro questa rara virtù facevano capolino e si consolidavano i tre voti di Povertà, Ubbidienza, Castità, osservati scrupolosamente. Nonostante le apparenze di una vita ordinaria e comune “è a tutti noto – diceva ancora il P. Provinciale – con quale spirito…” La semplicità lo portava ad esser puro, a parlare come un fanciullo, tanto da meravigliare quei che lo ascoltavano, per la ingenuità infantile delle sue proposizioni. Non accenno al ventennio delle sue fatiche missionarie, per non dilungarmi. Si giudichi unicamente l’instancabilità di questo infaticabile apostolo dalla Cina, riflettendo su quelle parole che appena un anno addietro ci diceva trovandosi qui in mezzo a noi: “ Se Mao me lo permette io son pronto a ripartire”. Il servo buono e, fedele era in verità pronto, ma non più per la fatica bensì per il riposo eterno. 62 anni! Si direbbe una morte immatura, ma a riflettere sulla vita del carissimo scomparso, il mio parere è tutt’altro. Torna a proposito del nostro caso quello che un antico ammoniva ad un tale:

“Quid numeras annos? Vixit maturior annis. Acta senem faciunt; haec numeranda tibi; his aevum fuit implendum, non segnibus annis.”

“Quanti anni conti? Visse in maniera più matura dei suoi anni. Le azioni fanno l’uomo saggio; queste cose devono essere numerate per te; il tempo fu riempito per questi non dagli anni, ma dai segni.”

Vito Randazzo da Carini

3ª Liceo Classico anno 1957