SANTOCANALE

VENERABILE MARIA DI GESÚ SANTOCANALE

“VENERABILE MARIA DI GESÙ SANTOCANALE, SIGNORA E MADRE, VICINA AI PICCOLI E AI GRANDIPREGA PER NOI”.

Quando il 29 gennaio 1923, a Cinisi, vennero celebrate in modo solenne le esequie della “Signora Madre”, come veniva comunemente chiamata suor Maria di Gesù, morta serenamente due giorni prima, una folla immensa, soprattutto di poveri, rimasti letteralmente orfani, I’ accompagnarono al cimitero cittadino.

Ma, appena tre anni dopo, il 24 ottobre 1926 (l’anno del settimo centenario della morte di san Francesco d’Assisi), scortata da un corteo affettuoso ed orante la “signora Madre” ritornava nella chiesetta del suo Istituto in via Sacramento, quasi a continuare, per non interromperla mai più, la diaconia dell’ascolto e dell’accoglienza verso il “suo” popolo, quello di Cinisi.

Il nome della splendida cittadina, prossima all’aeroporto palermitano di Punta Raisi, adagiata sul golfo omonimo, è stato ultimamente rilanciato dal regista Marco Tullio Giordana che ha narrato, nel film I cento passi, un’ordinaria storia di lotta alla mafia, conclusasi nel modo più tragico.

Ma pochi sanno che Cinisi, come Corleone del resto, passata alle cronache di nera come territorio della lupara e della P38, è stata anche “santo luogo e terra promessa” per l’esperienza di santità della giovane palermitana Carolina Santo canale, la futura “Signora Madre” appunto.

Ma a questo punto è doveroso ricorrere al flash-back per ricordare come Paolo Stagno, nonno materno di Carolina e grande proprietario terriero, avesse una bella villa in Cinisi e vi ospitava volentieri, non solo durante l’estate ma anche durante altri periodi dell’anno, i familiari e la nipote.

E’ proprio a Cinisi, nella circostanza dolorosa della malattia e della morte del nonno, siamo nel 1872, che a vent’anni, l’età degli ideali e delle attese più grandi, Carolina intravecle la sua vocazione e sperimenta “il coraggio di capire che dare la propria vita è l’unico comando, è l’unico modo per riempire e fare bella la vita” (Ronchi).

Con la guida di don Mauro Venuti, eletto subito da Carolina come “padre” della sua anima, anche nel lungo periodo d’assenza forzata da Cinisi, la giovane comincerà a sperimentare sul campo, il mondo, il suo ideale di consacrazione e servizio, con tutti i mezzi che la Chiesa offriva generosamente, in modo particolare con l’Eucarestia quotidiana, che lei definisce “pane della vita” e “luce e fuoco” per illuminare e riscaldare i suoi giorni.

Gli anni in cui Carolina Santo canale è alla ricerca umile, e molto spesso intrisa di sofferenza, del suo posto nella Chiesa e nella società, a Palermo e in Sicilia si diffonde capillarmente l’istituzione caritativa del beato Giacomo Cusmano, con una sorta di logo si direbbe oggi, Boccone del Povero, all’insegna della più autentica misericordia evangelica.

Carolina Santo canale non seguirà il carisma del santo medico palermitano, ma l’incontro con lui e la sua esplicita proposta vocazionale: “Per l’amor di Dio ne venga qui da noi! Se sapesse come è dolce aver da fare coi poveri! Che consolazione”, espressa con toni di sapienza e dolcezza, scioglieranno per sempre le sue riserve.

Caratterialmente e spiritualmente, Carolina si sentiva attratta dal fascino di san Francesco d’Assisi. Ed è la spiritualità francescana che ella si impegnerà a seguire nella totalità di una gioiosa povertà evangelizzatrice, riconoscendovi senza indugi la sua identità più autentica: “lo sono figlia di San Francesco”.

Molto presto, infatti, le strade di Cinisi videro andare di porta in porta, per la questua, all’insegna della preghiera e della semplicità, le “umili suore Terziarie di san Francesco d’Assisi”, giovani donne che volevano seguire l’ideale di quella che era già diventata, per sempre, suor Maria di Gesù. Per far parte del nuovo gruppo non erano richieste doti particolare ma una sorta di supplemento di umiltà, che doveva servire alla nuova religiosa, secondo l’intuizione profetica di suor Maria di Gesù, a “farsi educatrice, sorella di carità, madre dei poveri, pronta a eseguire qualsiasi ufficio, fosse anche il più umile”.

Alla genericità del francescanesimo, la Fondatrice volle unire il timbro dell’ austera spiritualità cappuccina, rivendicata a più riprese e sancita l’8 dicembre 1909 con l’aggregazione della piccola famiglia religiosa di Cinisi, che diventerà definitivamente la congregazione delle suore cappuccine del. l’immacolata di Lourdes, all’Ordine dei Frati minori cappuccini.

Quella di suor Maria di Gesù è un’esperienza spirituale radicata e fondata, den. tro e fuori la sua istituzione, su uno spiccato senso della maternità, che attinge direttamente alle sorgenti bibliche della misericordia e agli insegnamenti di San Francesco, cioè quell’amare gli altri da profondo, dalle viscere, così come la madre fa con la sua creatura.

A Cinisi, per tutti, l’umile suora era le “Signora Madre”, proprio per quella che l’austero cappuccino padre Fedele da  Cimina definiva “luminosa maternità” E che in altri tempi era stata occasione d affettuoso rimprovero da parte dello stesso frate alla Fondatrice: “Vossia, Ca so tindirizza, rovina!”.

Era risaputo infatti che suor Maria di Gesù “è proprio come una chioccia con i suo pulcini sotto le ali”, una delle tante immagini di rara bellezza e poesia di cui tra boccano i processi per la canonizzazione quando parlano della finezza e della sfumatura dell’amore materno della venerabile cappuccina.

Le religiose della madre Santocanale avevano un biglietto di visita molto particolare: infatti erano conosciute evangelicamente come le suore che si amano tanto fra loro come abitualmente venivano chiamati i primi cristiani.

Tuttavia, si stenta a crederlo se il fatto non fosse storicamente documentato, quella che era la più bella definizione Che si possa dare di una famiglia religiosa riesce a “scandalizzare”.

E così la vox popoli sulla troppa “familiarità” nella comunità di suor Maria di Gesù diventa “diceria” e arriva alle orecchie del santo arcivescovo di Monreale, Mons. Antonio Augusto Intreccialagli, carmelitani scalzo, che si sente in dovere di inviare i suo emissario, il canonico Francesco Paolo lo Evola a verificare, con una “visitina” in loco, voci e insinuazioni.

Ricevuta la relazione dello zelante canonico l’Arcivescovo mette in guardia suor Maria di Gesù: “finora la comunità è stata governata come si governa da una madre di famiglia la propria casa; ma questo modo di governare non è quello di una casa religiosa”.

Forse senza volerlo, l’Arcivescovo avevo dato così la definizione più bella per un donna consacrata, dal cuore grande “madre di famiglia”.

Non a caso suor Maria di Gesù ha voluto lasciare alle sue sorelle un monito austero profetico, che vuole sigillare per sempre lo scandalo che in vita aveva suscitato il carisma della sua maternità: “se quando sarò morta vedrò che mancherà la carità nel mio Istituto, pregherò il Signore che lo distrugga”.

Giovanni Spagnolo