SIMONE DA CALASCIBETTA

“BEATO SIMONE DA CALASCIBETTA, FEDELE TESTIMONE DELLA TRADIZIONE FRANCESCANA,PREGA PER NOI”.

Nella lunga schiera di testimoni che nel corso dei secoli hanno reso possibile una “trasmissione della fede incarnata nella vita del popolo” (Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo, n.12) e con il loro esempio continuano ad indicare Cristo come unica risposta alla “grande nostalgia di speranza” (idem, n. 13) che caratterizza il nostro tempo, può a buon diritto essere inserito il Beato Simone da Calascibetta.

Nato dalla nobile famiglia Napoli, divenne, ancor giovane, frate minore francescano osservante. Trascorreva gran parte delle sue giornate in preghiera e facendo molta penitenza. Andava in giro con un solo misero saio, a piedi scalzi e nutrendosi con pane e acqua. Fedele imitatore del Poverello d’Assisi, osservava con gioia la regola francescana e amava in modo così intenso il Signore da trascorrere anche molte ore della notte in preghiera.

Nel 1533 riformò la provincia francescana di Sicilia, proponendo una maggiore adesione all’originaria regola di San Francesco. Fu guardiano del convento di Santa Maria di Gesù a Piazza Armerina e nel 1534 ebbe lo stesso incarico a Giuliana, nel convento di Sant’Anna, dove visse sino alla morte, avvenuta l’11 ottobre del 1546. Qui mise in atto la Riforma conducendo insieme agli altri frati una vita più fedele ai valori del carisma francescano.

Davanti al convento di Sant’Anna il frate pregava vicino ad un albero con tre rami che per lui simboleggiava la Santissima Trinità. Per la sua santità e per i miracoli operati già in vita, fu amato dai giulianesi e anche dai fedeli delle vicine comunità di Chiusa Sclafani e di Bisacquino. La sua fama raggiunse, però, tutta la Sicilia e al suo passare la gente gli correva dietro baciandogli il saio e le mani e raccomandandosi alle sue preghiere.

Varie testimonianze antiche riportano numerosi miracoli da lui compiuti. Una volta nel convento di Piazza Armerina mancava l’olio per la lampada del Santissimo Sacramento e grazie alle sue preghiere arrivò misteriosamente dietro la porta della chiesa un vaso pieno d’olio. Un’altra volta, sempre a Piazza, due misteriosi giovani portarono del cibo ai frati affamati e a Giuliana guarì un ragazzo caduto da un albero mentre raccoglieva ghiande. Per non parlare, poi, di un miracolo della pioggia concesso ai bisacquinesi che si erano recati da lui perché da vari mesi non pioveva nel loro territorio. E ancora si narra che un giorno fra’ Simone risanò, passandovi il dito, l’unica pentola che aveva il convento e che si era rotta in due parti e in un’altra occasione fece aumentare il riso per sfamare numerose persone che si trovavano a sant’Anna.

Prima di morire, molti andarono da lui per ricevere la sua ultima benedizione e anche dopo la morte continuarono ad esserci miracoli e prodigi di varia natura, soprattutto guarigioni che avvenivano toccando la sua tomba o anche qualche indumento che gli era appartenuto.

Nel 2001 il suo corpo è stato traslato dalla Chiesa di S. Anna, che versa in pessime condizioni, al Santuario della Madonna dell’Udienza di Giuliana, mentre una sua reliquia si conserva nella cittadina natale di Calascibetta.

Tre insegnamenti, penso, possiamo ricavare dalla testimonianza del beato Simone. Il primo riguarda la necessità di accogliere la rivelazione di Gesù con cuore semplice. Solo chi è semplice e umile può recepire in pienezza il messaggio evangelico e viverlo con fedeltà e autenticità per arrivare alla beatitudine che il Signore ci ha promesso.

Un secondo insegnamento che fra’ Simone ci dà riguarda l’importanza della preghiera e del silenzio. Per essere santi è necessario che la nostra vita diventi un’incessante preghiera di lode e di ringraziamento a Dio. La preghiera ci aiuta a lasciarci condurre dall’azione dello Spirito Santo. Come sostiene il Papa Benedetto XVI nella sua enciclica “Deus caritas est”, “è venuto il momento di riaffermare l’importanza della preghiera di fronte all’attivismo e all’incombente secolarismo di molti cristiani” (n. 37). Il silenzio e la solitudine con Dio si trasformano in faro di luce non solo per la nostra vita, ma anche per quelli che ci circondano.

Il terzo insegnamento è, infine, il valore della penitenza. Oggi siamo abituati poco al sacrificio, abbiamo quasi perso il senso del peccato e per questo poco sentiamo la necessità della penitenza. Il Beato Simone ci vuole, invece, far riscoprire il ruolo della penitenza nella vita del cristiano. Non è una cosa d’altri tempi, ma un’esigenza da risvegliare e da compiere con gioia, sapendo comunque che il giogo del Signore è dolce e il suo carico leggero e che grande è la sua misericordia. Queste sono, quindi, le tre piste che ci devono far riflettere per vivere in pienezza la nostra vita cristiana, proprio sull’esempio del Beato Simone. Il nostro Arcivescovo, mons. Cataldo Naro, riconoscendone la grandezza della testimonianza cristiana, lo ha inserito nella Litania delle figure di santità della Chiesa di Monreale, insieme a San Benedetto il Moro, un altro frate francescano che per tre anni visse nel convento di Sant’Anna.

Vanno ricordate, anche, le altre figure di santità che sono fiorite a Giuliana, ispirandosi all’ideale di povertà evangelica e al messaggio di san Francesco e di santa Chiara d’Assisi, in modo particolare il Venerabile Frat’Angelo da Giuliana, riformato del convento di Sant’Anna che intorno al 1660 vide in sogno il monte Triona (Bisacquino) irradiato di luce e una folla di fedeli in ginocchio proprio nel luogo in cui è stata, poi, ritrovata l’immagine della Madonna del Balzo, e la serva di Dio suor Glorietta Restivo, clarissa del sec. XVI il cui corpo riposa nel Santuario della Madonna dell’Udienza, proprio di fronte alla tomba di fra’ Simone. Sono nostri fratelli e nostre sorelle che hanno saputo attendere la venuta del Salvatore e, incontratolo, si sono rivestiti di Lui. Ci aiutino con il loro esempio e la loro preghiera a diventare testimoni generosi di Gesù Risorto.

Vincenzo Campo