RIFLESSIONI SU ABRAMO (Genesi 12,1-ss)

Abramo è il primo uomo ad essere chiamato ad una storia personale di alleanza con Dio e la sua vita, dal momento della chiamata, prende la forma di un cammino. I racconti che precedono il ciclo di Abramo (Genesi 1-11) ci presentano una relazione con il Signore anche al di fuori dell’esperienza dei chiamati nella forma di un cammino (Noè; Genesi 6,5ss). Perché il Signore rivolge ad Abramo la sua parola è un mistero, il mistero della sua libera elezione. Dio non lo sceglie perché è il primo e neppure il migliore. Quello che è possibile invece constatare subito è come questa chiamata metta in movimento il patriarca “dal suo paese verso una nuova terra che Dio gli indicherà”. In età avanzata inizia per Abramo una nuova vita.

La famiglia di Abramo aveva già vissuto una migrazione, quando era morto il terzo figlio di Terach, Aran, padre di Lot. Abramo partendo, poi, prende con sé tutto quello che Terach aveva portato a Carran. Dio ad Abramo gli promette quello che lui desidera la benedizione, cioè la fecondità, la vita.

Appena arrivato in Canaan, tuttavia, quello che sperimenta è la fame.

La terra si mostra poco ospitale ed Abramo deve ripartire per sopravvivere. Và in Egitto. Quel che ci colpisce è che seguire la promessa di Dio non risparmia ad Abramo la lotta per la vita.

È proprio il cammino ad educare Abramo. E nella terra di Canaan incontra due singolari figure: Melchisedek, re di Salem, che dopo una battaglia offre al Dio altissimo pane e vino ed Abimèlech (Gen 20) un uomo giusto ed onesto che dice al re di Gerar che la maledizione che lo ha colpito potrà essere allontanata soltanto dall’intercessione di Abramo. Lo chiama profeta e non ritira la sua elezione anche se Abramo si è mostrato indegno di essa.

Abramo, pur nel torto, prega per tutte quelle persone che riteneva indegne della prossimità di Dio. E Dio lo ascolta in modo pronto, mostrando così quanto voglia bene lui e la gente di Abimèlech.

Abramo abbandona il suo progetto di paternità e Sara quello di maternità per evitare di proiettare su Dio l’immagine brutta del padre, padrone e per consentire l’incontro degli altri come fratelli. Deve riconoscere che la sua chiamata alla paternità è un inizio, Abramo come tutti noi non crea, riceve in dono. Perché si arrivi a comprendere questa immagine di padre, Dio mette alla prova Abramo e gli chiede in sacrificio il figlio Isacco (Genesi 22).

Alla fine Abramo si trova a sacrificare la sua paternità riconoscendo che è Dio la vita e che lui non ha potere sul figlio.

Ogni figlio di uomo e di donna è figlio di Dio, e la funzione del chiamato è di rendere possibile a tutti l’accoglienza di questa paternità divina. Quello che alla fine resta ad Abramo è la fede, cioè l’attesa di un compimento lasciato nelle mani di Dio Padre. E questa è anche la sua eredità per noi. Avere fede è riconoscere la propria incompiutezza e fare spazio alla sovrabbondante bontà della paternbità divina.

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