Riflessioni sul Salmo 42-43

COME LA CERVA ANELA…

È una supplica individuale soffusa da espressioni di fiducia. Gli studiosi della Scrittura lo datano verso gli anni 350-300 A.C. La sua composizione è attribuita ai “figli di Core”, una famiglia che svolgeva dei compiti presso il Tempio del Signore.

In questo poema ben 22 volte viene citato il nome di Jahvè e tre volte viene ripetuta questa invocazione: “Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo”. Uno studioso divide in tre movimenti il salmo:

  • Tempo passato: nostalglia e ricordo di Dio;
  • Presente: abbandono di Dio e scherno dei nemici;
  • Futuro: supplica e speranza.

“Come la cerva anela ai corsi d’acqua… Due immagini dominano il poema: acqua come vita ed acqua come morte (v,8).

L’orante esprime i suoi sentimenti mediante l’immagine della cerva che cerca acqua, Dio è anelato come acqua che è vita. L’acqua è figura di Dio come fonte di vita. Nel profeta Ezechiele l’effusione d’acqua viva è messa in relazione con lo Spirito Santo. L’evangelista Giovanni eredita tale simbologia, cfr. Gesù e la Samaritana. In Gv 7,37ss “l’acqua viva” del Battesimo si fonde con l’effusione dello Spirito Santo. Anche la “roccia del deserto” viene interpretata in chiave battesimale e che vede in essa Cristo, da cui sgorga l’acqua viva (1 Cor 10,3). Un quarto tema è il fiume Giordano in cui battezzava Giovanni.

Sono apparsi come figure del Battesimo: la traversata di Giosuè, il bagno di Naaman, la scure di Eliseo, l’ascensione di Elia.

Anche la tradizione della Chiesa ha visto in questo salmo un’allegoria del Battesimo. Nella Sacra Scrittura sono numerose le occasioni in cui la figura “cerva” appare in rapporto con “l’acqua viva” (Isaia 35,5ss). Quando Israele si allontana da Jahvè sembra una cerva assetata e abbattuta (Geremia 14,4: Lam 1,6). I territori di Neftali e di Zabulon, al di là del Giordano, Galilea delle genti sono i primi a ricevere la visita del Signore e la notizia della sua liberazione. Sant’Agostino commentando questo salmo così scrive: “Anch’io cerco il mio Dio e vedo con gli occhi le meraviglie della sua grandiosa creazione, però Lui non lo vedo… Dunque, è l’anima mia che deve imparare a vedere da sé… Pur avendo goduto della dolcezza di Dio, proviamo paura per i pericoli in agguato… che la nostra anima non riposi in noi, ma in Dio”.

L’orante ha pregato Dio e gli ha mostrato la sua angoscia, ma lo spirito esorta il fedele e sperare nel Signore.

L’uomo, a causa del peccato, sente l’allontanamento da Dio. La sua vità è come un esilio. Quali che siano le circostanze della sua vita percepisce una sete di pienezza e ricerca la vera felicità. Per realizzare quest’opera Cristo è sempre presente nella sua Chiesa: nell’azione liturgica, nei Sacramenti, nella preghiera e nella sua Parola.

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