RIFLESSIONI SUL LIBRO DI RUT – Prima Parte

Potremmo definire “edificante”, la storia narrata nel libro di Rut. Al pari di altre storie quali Ester, Tobis si tratta di una narrazione con un obiettivo sostenere la speranza degli ebrei in tempi difficili, mostrando quali modi di pensare, sentire ed agire possono portare alla realizzazione di una “vita salvata”, cioè a una vita secondo la “via del Signore”.

Nella vicenda non ci sono miracoli né persone fuori dal comune come re, sacerdoti o profeti, e neppure ricchi, potenti o “giusti”, Dio si identifica con la vicenda di questi personaggi comuni ma tanto capaci di grandezza. Le protagoniste sono delle donne, che vivono condizioni precarie. Il racconto inizia con una importante annotazione storica. “Al tempo in cui governavano i giudici…”.

La storia viene collocata nel tempo che va dall’insediamento delle tribù di Israele in Canaan all’istituzione della monarchia. Prima che governassero i re Israele viveva distinto in tribù legate tra loro da un patto. Non esisteva uno stato, non c’era un governo, un esercito, né tasse da pagare. Nessuno doveva vendersi schiavo per far fronte ai debiti…

Allora “sorgeva”, un “giudice”, guidava in battaglia guerrieri improvvisati e manteneva la pace. Come accade ai patriarchi, però anche al tempo dei giudici si fa una esperienza faticosa della terra assegnata da Dio al suo popolo. La terra non deve diventare un possesso definitivo. La carestia la rende a tratti inospitale.

E costringe alla migrazione in cerca di pane. In tale situazione di esilio la vita del credente si configura come un cammino orientato al “ritorno”. Non si tratterà però di tornare alla dimora di prima. La salvezza allora consiste nel “dimorare” nel Signore. In questo contesto si colloca la storia narrata dal libro di Rut, una storia di ebrei immigrati per bisogno che trovano accoglienza e ai quali viene concesso di dimostare da forestieri in terra straniera.

Tuttavia quando sembra che la vita riprende, il marito di Noemi muore. Solo dopo la morte del padre i figli prendono in moglie due donne del luogo. La vita della vedova e dei suoi due figli sposati scorre così per dieci anni. Anche i due figli di Noemi, però, muoiono a breve distanza l’uno dall’altro, lasciando al mondo tre vedove sole. C’è un nesso tra tutti questi segni di morte e la migrazione della famiglia di Elimelech da Betelemme di Giuda? C’è forse una punizione per il fatto che hanno abbandonato la terra dei padri e dunque la benedizione? Certo, c’era la carestia… A questa “famiglia” (composta solo da donne e senza figli) viene offerta una seconda possibilità il ritorno in Giuda dove c’è di nuovo pane. A Moab non manca, tuttavia qui Noemi si sente sola, sebbene abbia con sé le due nuore, e cerca la protezione della “sua casa”, del suo popolo. Dopo dieci anni Noemi torna alla casa che ha abbandonato con due nuore vedove, senza figli e straniere.

Dopo essere partite Noemi ha un ripensamento: invita le nuore a tornare a casa loro, per non fare l’esperienza di essere straniere in mezzo a un popolo che non è il loro. Al primo invito le due resistono. Esprimono la volontà di tornare con Noemi presso il suo popolo. Ma al secondo accorato e generoso invito Orpa se ne va, Rut invece “non si staccò da lei”.

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