LA NOSTRA SPERANZA

La Parola di Dio. 1 Pt 1,3-9: Sempre pronti a rendere conto della nostra speranza. Lc 20,27-40: Dio non è Dio dei morti, ma dei viventi; oppure: Lc 10,17-24: “Godete perché i vostri nomi sono scritti in cielo”.

Se il nostro rapporto con i nostri defunti fosse semplicemente fondato sul sentimento, o peggio, su una convenienza puramente umana, noi saremmo veramente “i più miserabili degli uomini” (cf 1 Cor 15,19), i venditori di fumo, i costruttori di utopia. Inganneranno noi stessi e gli altri. Dunque il vero rapporto coi defunti è potenziato nella preghiera della fede, è fondato sulla speranza.

La speranza, la più bistrattata delle virtù teologali, la meno inculcata, eppure la più necessaria… I malanni interiori dell’uomo di ieri e di oggi sono facilmente riducibili a questa mancanza di speranza. Senza speranza non c’è significato nella nostra vita.

La speranza dunque, di cui dobbiamo continuamente render conto e ragione a quanti incontriamo sul nostro cammino, mentre non è affatto rifiuto del presente, trascuratezza e indifferenza intorno al reale, al quotidiano, né disinteresse e volontà di alienazione, è sì invece la capacità, ricevuta dalla fede, di vedere nella realtà anche la dimensione soprannaturale, anche il futuro di Dio e quindi tendervi con tutta l’anima ad orientare ad esso tutta la propria attività, la quale quidi viene ad acquistare un valore tutto particolare.

La spernaza non solo ci fa vedere la meta da raggiungere, ma ci indica i mezzi per arrivarvi. In tal modo essa diventa suggeritrice di tutte le più belle imprese spirituali. Il cristiano è colui che tiene fisso lo sguardo al cielo, ma, ben fissi i piedi in terra, si adopera generosamente per i fratelli, sapendo che ogni suo atto, ogni impegno si riflette in premio nella vita eterna. L’inerzia non è speranza, ma insensatezza e apatia e, quindi, mancanza d’amore e di donazione di sé.

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