DON PRIMO MAZZOLARI

“La tromba dello Spirito Santo in valle padana!”

1890. Nasce a Berceto (Cremona) il 23 gennaio. Nel 1912 è consacrato sacerdote il 25 agosto 1915-20. È Cappellano militare durante la guerra, 1920-22. È parroco a Bozzolo (Cn), 1922-23. È parroco a Cicognara (Mn), 1932-59. È arciprete di Bozzolo, 1948. Fonda e dirige il quindicinale «Adesso», 1951. Il 14 febbraio gli viene interdetta la direzione di «Adesso» e la predicazione fuori diocesi, 1959. Viene ricevuto il 24 febbraio in udienza da papa Giovanni XXIII, il quale lo saluta così: “La tromba dello Spirito Santo in valle padana!”. Muore a Cremore il 12 aprile 1959.

La parrocchia e i lontani

La Chiesa non è quantità. Come l’arca di Noè, porta tutti, anche se tutti non vi sono imbarcati.

La parrocchia non vive per quello che riesce ad occupare di mondo, ma per quello che inquieta, sconvolge, illumina, ispira e misteriosamente guida verso il porto eterno. Non vive per quello che i figlioli di dentro riescono a fare, ma per quello che la grazia, da noi invocata e avviata, riesce a far fare ai figli di fuori…

Come uscire di Chiesa e come rimanere nel mondo da sacerdoti?… Il sacerdote deve uscirne non per tentazione, ma per impegno, non come uomo qualunque ma come uomo superiore… Non come uomo di contesa temporale, ma come uomo di distacchi materiali e di ordinazioni sovratemporali; non come uomo di mondo, ma come uomo di Dio.

Conviene quindi al sacerdote di farsi desiderare dai parrocchiani più che buttarsi tra i loro piedi; entrare da essi in un’ora aperta o di grazia, senza perder tempo o farlo perdere.

La troppa frequenza e la troppa familiarità sono a detrimento del rispetto, della dignità e del mistero della sua umana povertà.

Non si deplora né si rifiuta il rischio: si rifiuta e si deplora la temerarietà di esporre creature impreparate ad affrontare un confronto e una lotta senza pari.

E così, al posto dell’uomo di Dio, si incontra abbastanza spesso, il piazzista, il barista, l’albergatore, il galoppino, il cinematografaro, l’autista, il giornalista, il cantastorie, il chitarrista, il letterato…

Quando si sente dire: «è uno come noi», è rotto il raccordo spirituale non solo tra le religione e il sacerdote, ma tra la religione e gli uomini.

Le apostasie e le diserzioni non furono mai numerosi come oggi e la mondanità del clero mai così allarmante.

Di questi aggiornamenti non mancano i guadagni, e la stampa cattolica, trasformata in vetrina di illusioni, li sventaglia clamorosamente. “Cosa importa guadagnare anche tutto il mondo, se poi si perde l’anima?”.

La realtà è ancor più meschina: si perde l’anima e non si conquista il mondo, La parrocchia muore perché muore l’anima che la deve sorreggere. Il prete sacerdote è inafferrabile, mentre l’altro si compromette ovunque entri e operi.  (Adesso, 1660-1661).

Discorso Natalizio: il Presepio

Se c’è un sentimento che domina in questo momento il mondo, è la paura. Abbiamo paura gli uni degli altri; ci armiamo e gli uni e gli altri, perché abbiamo paura. I congegni della morte sono inventati perché abbiamo paura. Abbiamo rinnegato il Natale, abbiamo bestemmiato il Natale, abbiamo calpestato il fratello nel Bambino Cristo, perché il sacrilegio più grande è quello di non sentire il grido, l’esistenza, tutto quello che vi è di santo nella presenza adorabile di un bambino che ci ricorda il vincolo profondo in nome del Padre di cui siamo tutti figlioli… Chi sono gli uomini, chi sono quelli che sono al di là dei confini, chi sono quelli che parlano lingue diverse, hanno religioni diverse? Ricordatevi: il presepio è fatto di uomini e di bestie. C’è un bambino, c’è Maria, c’è Giuseppe: una famiglia di povera gente che porta i destini del mondo. La tradizione vuole che ci siano accanto un asino e un bue. Provate a togliere quel bambino, spegnete quella luce: che cosa vi rimane? Avete creato la convivenza? Avete creato la fraternità? Avete creato la pace? No. Avete creato un presepio dove c’è soltanto un asino e in bue, vale a sire un umanità che non ha più una speranza, ma è una stalla. L’uomo porta dentro la presenza, il fermento, lo sconcerto di questa adorabile Presenza divina; presenza di un Dio che si è fatto uomo non soltanto per vivere in noi e partecipare alla nostra vita quotidiana, ma anche per poter dare a questa nostra vita un senso, una forza di elevazione, una speranza che va al di là della brevità della nostra giornata.

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