SINTESI DEL MISTERO DELLA STORIA DELLA SALVEZZA

La venerazione della Madre di Dio con il suo Figlio è più che un esperienza spirituale. Lì, nel mistero dell’Incarnazione, c’è una “carne”, vera, materiale, nella quale Dio si è “circoscritto”. Se la contemplazione cristiana passa anche attraverso la materialità delle immagini, della musica e, soprattutto, della liturgia lo fa non per una concessione all’umana debolezza che necessita di segni, ma perché è quella la via che Dio ha scelto di percorrere per venire a noi. 

Non è un tema ozioso se consideriamo che la dottrina sulla presenza nell’unica persona di Cristo di due nature, da sempre provoca scandalo e crea divisione (si pensi alla crisi “ariana”). Sarà il Concilio di Efeso (431) a proclamare la fede corretta: la Vergine è “Madre di Dio” poiché nell’unica persona del Figlio che dà alla luce sussiste pienamente il Verbo di Dio, coeterno al Padre, e un uomo nella sua vera carne. In seguito, mentre in Occidente si enfatizzà la valenza salvifica decisiva della Pasqua, in Oriente si svilupperà una teologia per la quale già  nell’incarnazione il Figlio di Dio, assumendo in sé la natura umana, la salva liberandola dalla maledizione del peccato. Le due prospettive sono comunque complementari e resteranno quale patrimonio comune di tutta la cristianità.

Anche oggi, esigenze di dialogo o desiderio di apparire in linea con i tempi, portano alcuni a tacere o a negare la natura divina di Gesù Cristo, depotenziandone la valenza salvifica. È lo stesso pericolo corso nei primi secoli cristiani quando Ario negò la natura divina del Verbo e la sua consostanzialità con il Padre, e Nestorio negò a Cristo, sebbene non al Verbo, la piena e Integra divinità, rompendo l’unione ipostatica del Redentore. Come ricordava Papa Pio XI riferendosi all’eresia nestoriana, in occasione dell’istituzione della festa liturgica della Madre di Dio, tutti questi errori portano all’unica conseguenza che “il Salvatore del genere umano poco o nulla differirebbe da coloro che egli ha redenti con la sua grazia e col suo sangue. Rinnegata dunque la dottrina dell’unione ipostatica, sulla quale si fondano e hanno solidità i dogmi dell’Incarnazione e della Redenzione umana, cade e rovina ogni fondamento della religione Cattolica”.

 Capiamo, allora quanto sia centrale nella fede cristiana l’evento dell’Incarnazione, la “più grande opera di Dio” (Duns scoto) e quanto sia centrale la figura di Maria, perché è in lei che l’unica Persona di Gesù Cristo/ Verbo del padre viene generata. 

Restano quindi valide per sempre le parole di San Giovanni Damasceno (750 circa) “Chiamare la Santa Maria Theotòkos (Madre di Dio) sintetizza tutto il mistero della storia della salvezza”. La divina Madre testimonia la divinità del figlio: Gesù non è solo un profeta, come Maria non è solo una sua discepola, seppure la più grande. Gesù non è venuto a portare una parola a nome di Dio, ma è la Parola di Dio. Nell’uomo-bambino di Betlemme, fragile e povero nella carne, è presente Dio-Figlio, onnipotente, sapiente e ricco di ogni grazia. Contemplare la madre di Dio e il suo Figlio significa penetrare nell’abisso dell’amore di Dio che si è messo nelle mani dell’uomo e ha scelto di camminare sulle strade. E non va sottaciuto, infine, il doppio affidamento fatto da Gesù in croce alla Madre e al discepolo prediletto- “Donna, ecco il tuo figlio!”, “Ecco la tua madre!”. (cfr. Gv 19, 25-27)- per il quale noi tutti siamo figli di Maria ed ella è, in un senso spirituale e tutto mistico, Madre Nostra  (cfr. Papa Pio X, Enciclica Ad Diem Illum Laetissimum, 2 febbraio 1904).


DON PIETRO ROBERTO MINALI