L’INFERNO È NON AMARE PIÙ

 Nel diario di un curato di campagna, il celebre romanzo di Georges Bernanos (1936), il curato di Ambricourt esorta la contessa ad abbandonare la sua ribellione contro Dio, e ad accettare finalmente la morte di suo figlio, scomparso undici anni prima. 《No, signora, non tacerò. I preti hanno taciuto troppo spesso e vorrei che l’avessero fatto solo per pietà. Ma siamo vili. Appena stabilito il principio, lasciamo dire. Che cosa avete fatto dell’inferno, voi altri? Una specie di prigione perpetua, analoga alle vostre, e vi chiudete sornionamente in anticipo la cacciagione umana che le vostre polizie inseguono dall’inizio del mondo: i nemici della società. Vi degnate di includervi anche i bestemmiatori e i sacrileghi. Quale spirito sensato, quale cuore fiero accetterebbe una simile immagine della giustizia di Dio? Quando cotesta immagine vi disturba, vi  è troppo facile scartarla. Giudicate l’inferno secondo le massime di questo mondo; e l’inferno non è di questo mondo. Non è di questo mondo; e meno ancora del mondo cristiano. Un castigo eterno, un’eterna espiazione… Ah! Sta il fatto che il più miserabile degli uomini viventi, anche se non crede più di amare, conserva ancora la possibilità di amare. Persino il nostro odio si irradia e il demone meno torturato si espanderebbe in quella che chiamiamo disperazione, come in un luminoso, trionfale mattino. L’inferno signora, è non amare più》. La contessa finisce per cedere. Si appresta addirittura a gettare nel fuoco il medaglione che porta sul petto e che contiene una ciocca di capelli del suo bambino. Ma prima chiede al curato di ripetere le parole che hanno sconvolto il suo   cuore: 《L’inferno, è non amare più !》.

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