XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – 05 Agosto 2018

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,24-25

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

Siamo al secondo dei cinque passi che la Chiesa ci fa compiere in queste domeniche estive in compagnia del c.6 del vangelo di Giovanni, il capitolo del pane. Dopo aver assistito, meravigliata, al miracolo della moltiplicazione del pane, la gente cerca Gesù. È stata sfamata con una modalità sorprendente, che accredita Gesù di Nazaret come uomo dai poteri eccezionali. È una ricerca che va però purificata: “Mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani”.

Proviamo a riflettere, spogliandoci per un momento dalle tante sedimentazioni che questi termini hanno oggi per noi, al binomio pane/vita. Un binomio inscindibile, nello stesso tempo radicale e primordiale: non c’è vita senza pane, il pane è per la vita. Prima ancora del pane come Eucarestia, prima ancora del pane come parola, proviamo a immaginare Gesù come pane e basta. Gesù è il pane della vita, semplicemente. Niente di più e niente di meno. Alimento povero ma indispensabile, semplice ma insostituibile. E Gesù pane non della vita astratta, ma della mia vita, della mia quotidianità, delle mie relazioni. Di tutto il nostro essere ed agire egli è il nutrimento semplice ed essenziale. Nella ritualizzazione dell’immagine del pane e nella rapprensentazione generica della vita c’è il rischio concreto di porre una distanza tra questo pane e la vita, tra colui che si definisce “il Pane” e noi. Se diamo alla parola “pane” il suo senso originaro e intendiamo la parola “vita” come qualcosa che ci è intimo, allora l’espressione “pane di vita” può risuonare in tutta la sua pregnanza. È bello poi constatare che non c’è nulla da “fare”, come chiederebbe la gente. Non ci sono opere da compiere, compiti da svolgere. Occorre mettersi semplicemente nell’atteggiamento della fede e, della fiducia accogliente, della gioia riconoscente. L’unico “fare” che ci è richiesto è quello di alimentarci ogni giorno di questo pane. In questa fiducia, in questa fede, pur incerta e vacillante, riconosciamo l’opera di Dio.

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