VITTORIO BACHELET

“Non si vince l’egoismo mostruoso che stronca la vita, se non con un supplemento d’amore, se non contrapponendo la capacità di dare la vita per il sostegno e la difesa degli inermi, degli innocenti, di chi vive in una insostenibile situazione di ingiustizia”.

Sono parole di Vittorio Bachelet, il vice-presidente del Consiglio superiore della magistratura, ucciso dalle Brigate Rosse il 12 febbraio 1980, negli anni in cui il terrorismo vuole scardinare in Italia la fondamenta stesse dello Stato. Sono parole che suonano quasi come una profezia.

La sua morte riveste un valore emblematico: ucciso nell’università, mentre svolge la sua missione a servizio della cultura e dei giovani; ucciso perché uomo libero e forte, di una forza che sgorga da una fede profonda, maturata nel cammino dell’Azione Cattolica, di cui è stato presidente nazionale nel tempo del rinnovamento conciliare.

Ecco, come in una situazione difficile della vita sociale del nostro Paese, nel 1947, afferma con chiarezza l’inscindibile legame tra libertà, verità e amore: “I cattolici combattono, devono combattere il male che è l’unica cosa che non possono amare; ma non possono combattere, essere nemici degli uomini, anche quando questi sono al servizio del male, anche quando combattono la verità, la giustizia, la carità, la Chiesa.

È certamente questa, una delle leggi più singolari e difficili del cattolicesimo: difendere le proprie idee, i propri diritti che sono idee e diritti della Chiesa di Cristo; ma difenderli amando coloro che combattono per gli ideali opposti; coloro che vogliono opprimere o addirittura opprimono il cattolicesimo.

I cattolici li devono amare, non basta che non li odino, e amare vuol dire essere in ansia per la loro vita, aver a cuore il loro buon nome, saper pregare per loro, essere capaci di offrire in ogni momento un sorriso di pace”.

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