GESÙ CRISTO È RISORTO! – Prima Parte

La Chiesa e il mistero di Pasqua

La Chiesa rivive la Passione di Cristo nella sua propria carne e nella propria sofferenza personale, non soltanto nel mistero e nel simbolo eucaristico. E noi dobbiamo continuare ad esprimere in noi la Passione di Cristo per il suo corpo che è la Chiesa, per il suo corpo che è l’umanità chiamata a diventare Cristo. La Chiesa, entrando nel mistero della Settimana Santa, entra nel dolore infinito di Cristo per l’uomo peccatore, in quella solidarietà che Gesù ha pagato a caro prezzo, la sola capace di offrire parole credibili di conversione e di riconciliazione, la sola capace di calarsi nelle situazioni più complicate dell’esistenza non dicendo semplicemente parole formali o esteriori bensì testimoniando la comunione obbediente, pur se sofferta, con Dio e una profonda solidarietà con le più terribili sofferenza umane.

E la sofferenza più terribile è quella del peccato, cioè della solitudine dell’uomo che si sente abbandonato da Dio perché ha tolto gli occhi da lui. Noi potremo prolungare la contemplazione del Crocifisso nell’adorazione del Venerdì Santo, quando celebreremo la preghiera dei fedeli più ampia e più solenne di tutto l’anno liturgico. In quella preghiera davanti alla croce scoperta e innalzala nel mezzo della Chiesa, saranno idealmente radunati tutti i gruppi umani, le persone i problemi,i bisogni dell’umanità. La Chiesa può compiere questo raduno ideale di tutte le miserie del genere umano senza lasciarsi atterrire o sommergere perché sa che la croce di Cristo, posta al centro della liturgia, è capace di prendere su di sé tutto il dramma, il dolore, il peccato dell’uomo.  Perché nella croce di Gesù Dio stesso ci assicura che neppure la morte può fermare il suo amore e che non c’è situazione umana per quanto drammatica e opaca, che possa rimanere estranea all’immenso abbraccio della croce. Non ha Gesù detto: “Quando sarò innalzato da ma attirerò tutti a me?”.

La Passione di Cristo continua nel tempo 

La Passione di Cristo passa oggi per le case di tanti che soffrono: dei disoccupati, di coloro che pensano all’avvenire con crescente timore, dei sequestrati ancora attesi con ansia e afflizione, di coloro che furono vittime di una violenza assurda e spietata. Ma passa anche per le case degli anziani, spremuti delle loro energie e messi da parte in solitudine, e quanti di essi si lamentano con sofferenza!; passa per le case di coloro che attendono giustizia sena riuscire a ottenerla, di quanti hanno dovuto, per qualunque motivo, abbandonare una patria senza riuscire a trovarne una nuova o a sentirsi accolti, che forse non hanno neppure una casa e stanno magari vicino a noi. Il mistero della croce si rinnova in tutti coloro che si sentono esclusi e che la nostra società fa sentire tali, come gli handicappati o coloro a cui vengono indicate vie d’uscita che sono soluzioni di morte: drogati, disadattati, carcerati che, anche nei luoghi che dovrebbero essere di espiazione ma anche di redenzione, rimangono vittime di un clima di violenza e di morte che in passato hanno o possono aver contribuito a creare. Passa infine, questa Passione e questa sofferenza per il cuore di tutti coloro che pensano che il loro sacrificio e la loro fedeltà al dovere quotidiano sia inutile, incompresa, e di questo dovere cadono vittime. Ci sembra impossibile alle volte, leggendo i giornali, pensare che uomini tanto piccoli possano fare nel mondo un male tanto grande , eppure se ascoltiamo la lettura della Passione non è un sentimento diverso quello che ci sentiamo nascere dentro il cuore. La Passione del Signore ci insegna non solo ad accorgerci di chi soffre, non solo  soccorrerlo, ma anche ad uscire dalla logica della violenza che sembra perpetuarsi nel cuore dell’uomo e nella storia dell’umanità.

Un gesto di perdono e di preghiera come quello di Cristo morente e che altri ai nostri giorni cercano di rendere vivo e operante, è una buona novella che ci aiuta a credere che il mistero del Venerdì Santo conosce ancora e sempre l’alba del giorno di Pasqua e che il Cristo non vuole avere oggi altre mani che le nostre per aver cura dei nostri fratelli.

Per le sue piaghe siamo stati guariti

Isaia, profeta anonimo, è un uomo chiamato a dire parole nuove: “Dio mi ha dato una lingua da iniziati”, cioè una lingua di chi ascolta cose sconosciute per poterle manifestare ad altri. Queste parole incontrano opposizione e causano sofferenza, ma il profeta sa resistere: “Ho presentato il dorso ai flagellatori, non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”. Questa sofferenza è quella che salva il popolo, salva noi: “Per le sue piaghe siamo stati guariti”. Queste parole misteriose che parlano di messaggeri respinti, eppure capaci di salvare, sono una chiave interpretativa della storia di Gesù e della storia della Chiesa. Esse raggiungono il loro massimo grado di intensità nella parola profetica di Gesù pronunciata con amore verso il mondo e nel ripudio che noi uomini col nostro peccato, abbiamo fatto e facciamo di Gesù.

Dobbiamo oggi ricordare il nostro peccato nell’umanità del cuore; il peccato strettamente personale e segreto, che forse solo noi conosciamo o pochi altri, e il peccato che, mediante la mancanza di solidarietà e di fraternità, colpisce altri e contribuisce ad accrescere l’ingiustizia nel mondo. Di tutti questi peccati, di ciò che ciascuno di noi ha commesso, facendo resistenza alla Parola di Dio, all’amore di Dio, di tutto questo noi siamo chiamati ora a pentirci, a umiliarci, a confonderci davanti al Crocifisso. Siamo chiamati a contemplare Gesù vittima del nostro peccato, figura reale e segno tangibile di ogni uomo maltratto e sfigurato per i peccati di altri uomini. Assumendo la condizione del profeta indifeso, Cristo vuole costringerci ad aprire gli occhi sulla realtà accecante della miseria. Se la nostra conversione è autentica, ed è frutto dell’amore può provocare una trasformazione sociale nel mondo, intorno a noi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *