TUTTI I FIORI DELL’AMORE

Esco dalla lettura della nuova Esortazione apostolica Amoris laetitia come se mi fossi inebriato del profumo di un campo fiorito nel mese di maggio che con la festa di Maria di Nazaret e della mamma, lascia nel cuore una struggente riflessione sulla fuga in Egitto. Come la sento tremendamente vicina , ora. Specie davanti a foto crude di filo spinato, di barriere ricostruite al Brennero. Domina negli occhi la paura dei piccoli e la trepidazione dei grandi. Cosi, nella descrizione della fuga in Egitto rivedo un’icona di impostazione bizantina sulle pareti della cappellina dell’episcopio di Locri. L’icona descrive cosi quel viaggio: il bimbo Gesù viene portato sulle spalle da un forzuto Giuseppe  che guarda avanti, camminando con un passo deciso. Lui sa che occorre tanto coraggio per attraversare le frontiere. Per dare un futuro alla sua famiglia. Dietro a lui cammina Maria. Il piccolo Gesù non guarda avanti. Ha paura. Come tutti noi si volge indietro verso Maria. Ne incrocia lo sguardo rassicurante. E solo così ,quel viaggio in terra straniera si fa di sicuro. Dal terreno, infatti sbocciano i fiori come quelli di maggio. Il messaggio è chiaro per la famiglia e per la società: il coraggio contro la paura lo troveremo se sapremo mettere insieme la forza di San Giuseppe con la tenerezza rassicurante di Maria. Solo insieme è possibile dare ai nostri figli quella speranza che supera ogni barriera creata dalle insidie e dall’opportunismo.

Nell’Amoris laetitia le immagini fiorite del campo danno forza a ogni iniziativa di comunione. Come a Lesbo i tre grandi patriarchi insieme, attorno ai bimbi immigrati. Roma, Costantinopoli, Atene: uniti dai poveri e non dalla teologia! Scrive il Papa: «Prendiamoci cura, sosteniamoci e stimoliamoci vicendevolmente, e viviamo tutto ciò come parte della nostra spiritualità familiare», coltivando «il coraggio di sognare con Lui, il coraggio di costruire con Lui, il coraggio di giocarci con Lui questa storia, di costruire un mondo dove nessuno si senta solo» (N. 321). E allora la famiglia diventa «un pascolo misericordioso» dove «ognuno, con cura, dipinge e scrive nella vita dell’altro». Si fa «”pescatore di uomini” (Lc 5,10) che nel nome di Gesù getta le reti (cfr. Lc 5,5) verso gli altri, o un contadino che lavora in quella terra fresca che sono i suoi cari, stimolando il meglio di loro, (…) “perche amare una persona è attendere da essa qualcosa di indefinibile, di imprevedibile; è (…) offrirle in qualche modo il mezzo per rispondere a questa sua attesa”» (n.322). Pascolo, terra lago, mare. Luoghi diversi, ma è sempre un «gioco a due». Tra cielo e terra, tra uomo e donna, tra passato e presente. Vino nuovo ardente, e vino maturato nel tempo. Invecchiato nella fedeltà, ancora più fervido, proprio perché nel gioco a due è diventato «fermentazione esperienziale». Tra passo e sogno. Tra fatica e speranza.

Da buon trentino, amante delle Dolomiti, ho sempre trovato di immenso valore pedagogico la raccomandazione di Giovanni Paolo II: “mai abbassare le vette, ma accompagnare il passo. Le vette devono restare elevate, affascinanti, capaci di conquistare il nostro cuore. È il primo compito della Chiesa e della famiglia in un mondo che tende alla banalizzazione delle cose per un capriccio di libertà, contrapposta, purtroppo, a una carenza di verità. Occorre poi ritornare indietro sui passi dei più fragili per sostenerne il cammino. Capaci, come comunità cristiana, di sorreggere e di comprendere. È questa la visione avvolgente che ci pervade di gioia, di certezza celeste: dal grembo di Maria ai cieli aperti della gloria. Non c’è chinarsi spinoso che possa rendere impossibile una salita d’amore. Un perenne gioco a due. Perché ciò che li congiunge è l’arcobaleno della speranza!

CARLO BREGANTINI

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