PADRE MARIO BORZAGA

Laos, Aprile 1960. Dopo aver catturato il missionario e il diciannovenne che l’accompagna, i guerriglieri comunisti del Pathet Lao dicono a quest’ultimo: “Sei laoziano come noi, torna a casa”. Paul Thoj Xyooj risponde: “È un sacerdote gentile con tutti. Fa solo del bene”. I comunisti non gli credono. “Io resto qui. Se uccidete lui, uccidete anche a me”, afferma il coraggioso catechista. Vengono ammazzati insieme. E insieme sono stati proclamati beati alla fine del 2016, insieme ad altri 15  martiri. Il missionario in questione è Padre Mario Borzaga, nato a Trento nel 1932. Dopo un periodo nel seminario diocesano, a vent’ anni passa nelle file dei Missionari oblati di Maria Immacolata. Alto, fisico da montanaro, Mario suona il piano, ama camminare, non meno che scrivere. Una passione che conserverà anche dopo la partenza per Laos, nel 1957, insieme al primo gruppo di Oblati italiani. Nei tre anni di missione manda articoli e verga numerosi appunti e pagine di diario, oggi raccolte in un volume che ha preso il nome da una sua frase famosa: “Ho capito la mia vocazione: essere un uomo felice, pur nello sforzo di identificarmi col Crocifisso”. Quando la guerriglia raggiunse la zona della sua missione, Kiucatian, nel Nord del paese, si vede costretto a fuggire e a nascondersi. Sperimenta -parole sue – “la paura di morire, di impazzire, di essere abbandonato da Dio”. Ma resiste e arriva a definire la sua vicenda missionaria “il più bel romanzo del mondo, perché è un romanzo d’Amore”. Un romanzo che si chiude con un atto estremo di dedizione: dalla visita a un remoto villaggio non tornerà più. L’eco della sua testimonianza, però, non s’è spenta.