GIUSEPPE FANIN

Novembre 1948, tempo di roventi scontri sociali nella “rossa” Emilia Romagna. Giuseppe è un giovane di 24 anni, gioviale ed esuberante, dal fisico atletico. Innamorato di Lidia, è fidanzato con lei da sei anni: “Io amo te di un amore che giunge fino a Dio”, le scrive. Dopo aver trascorso la serata con la ragazza, mentre pedala su una strada di campagna, tre fanatici comunisti lo aggrediscono a sprangate “per dargli una lezione”, rendendolo un martire della dottrina sociale. Nato in una famiglia contadina e coltivatore lui stesso, spinto dalla sua fede semplice, profonda e da grandi ideali, inizialmente è convinto di essere chiamato al sacerdozio. Ma la sua passione  professionale e l’incontro con Lidia sono per lui la conferma che la sua strada è il matrimonio, la santità vissuta nella condizione laicale. Riesce a laurearsi in Agraria e decide di mettere le sue competenze a servizio dei braccianti sfruttati come sindacalista.

Promuove la costituzione dei liberi sindacati e di cooperative agricole tra braccianti. Sa a cosa va incontro. Agli amici che gli suggeriscono di dotarsi di un’arma dirà che preferisce presentarsi a Dio senza la responsabilità di aver provocato il lutto in una famiglia: “Nei guai io lascio gli altri, perché in Dio e nel paradiso io ci credo!”. Nel 1998 Il cardinale Giacomo Biffi apre il processo di beatificazione.