FRA’ GIROLAMO DA CORLEONE

FRA’ GIROLAMO DA CORLEONE VENERABILE

“VENERABILE FRA GIROLAMO DA CORLEONE, TESTIMONE DELLAMORE DEL SIGNORE E OPERATORE DI MIRACOLI, PREGA PER NOI”.

La Litania delle figure di santità della Chiesa di Monreale invoca il “venerabile” fratello laico cappuccino Girolamo da Corleone come “testimone dell’amore del Signore e operatore di miracoli”, offrendo così una chiave di lettura dell’esperienza cristiana di questo religioso vissuto tra Seicento e Settecento.

Le fonti ufficiali dell’Ordine si limitano a registrare che alla morte di fra Girolamo, avvenuta nell’infermeria dei cappuccini a Palermo il 7 gennaio 1717, si aprì un regolare processo canonico, ma dai biografi sappiamo che le preziose testimonianze raccolte andarono perdute — ironia della sorte per un taumaturgo – in un naufragio dell’imbarcazione che le trasportava a Roma.

Contrariamente alla maggior parte della ritrattistica cappuccinesca, per definizione austera e spesso arcigna, l’icone di fra Girolamo è luminosa per quel sorriso che promana dal volto sereno del questuante cappuccino che con una mano stringe la bisaccia e il bastone, tipico di una amorosa itineranza nel cuore del popolo, e con l’altra appoggia la sua ruvida corda sul capo di uno dei bambini che lo circondano.

Il cartiglio in calce al quadro sintetizza la vita di Girolamo da Corleone “che, brillando come sole nella casa di Dio per la semplicità evangelica e l’innocenza della vita e per le altre virtù, fu abbellito dal Signore con molteplici doni specialmente dei miracoli in vita, dopo la morte e fino ai nostri giorni”.

Francesco Trombatore, il futuro fra Girolamo, nacque a Corleone il 22 dicembre 1639, in condizioni dolorose, dal momento che la mamma morì nel darlo alla luce. Una situazione di precarietà affettiva che si ripercuoterà sull’ andamento famigliare con un altro matrimonio sfortunato del padre, Antonino, conclusosi con la morte della seconda moglie e con l’arrivo della terza che si rivelerà per il piccolo Francesco “matrigna”, nel senso cattivo delle favole.

Ma, come in tutte le favole che si rispettano, anche l’orfanello Francesco trovò sul cammino angeli umani che gli restituirono le carezze che la sua mamma non aveva potuto dargli: i principi di Belmonte che lo accolsero nella loro residenza palermitana per un decennio e poi l’arcivescovo di Monreale che lo ammise tra gli inservienti del suo palazzo come aiutante cuoco.

Molto presto Francesco si fece notare sia per le sue doti fisiche che per la sua arte culinaria, tanto da attirare lo sguardo e le speranze di più di una ragazza. Ma l’elegante paggio era attratto dalla preghiera. Infatti nel tempo libero egli si rifugiava nella penombra della cattedrale, adorante nella cappella del Santissimo o estasiato presso l’altare della Vergine Maria.

Nessuno si meravigliò infatti quando dopo opportuno discernimento e con le credenziali dell’Arcivescovo, Francesco bussò al convento dei cappuccini per esservi ricevuto. Il provinciale, Basilio da Monreale, “fiutò” l’affare e autorizzò il giovane a recarsi al convento di Sciacca per iniziarvi l’anno del noviziato sotto la guida sicura e illuminata del padre maestro Giovanni Battista: era il primo ottobre del 1662.

L’anno di noviziato del giovane di Corleone nel convento di Sciacca restò memorabile per una qualità di uva da lui piantata, fiorita e maturata fuori tempo, che i frati additavano semplicemente come “il pergolato di fra Girolamo”.

Le peregrinazioni di fra Girolamo da un convento all’altro erano un fiorire di fatti meravigliosi e straordinari che mettevano in evidenza la semplicità, il candore e, sopratutto la fede, del cappuccini e, naturalmente, gli creavano straordinaria popolarità.

La ristrettezza di questo scritto ci permette di analizzare il sentimento di fraternità cosmica che fra’ Girolamo aveva stabilito, ricambiato, non solo con gli uomini ma con le quaglie, leprotti, conigli, gatti, tonni e tori.

Instancabile nel prodigarsi per i poveri e gli ammalati, Girolamo metteva a frutto la sua consuetudine con il prodigio, con il rischio a volte di passare come un mago da strapazzo o un fenomeno da baraccone, in quello che ormai si avviava ad essere “il secolo dei lumi”. Una volta dovette intervenire il padre provinciale, con tutta la sua autorità, per arginare quello che era ormai diventato per il cappuccino corleonese una sorta di hobby: la benedizione di quei bambini, attraverso l’imposizione della corda e una preghiera particolare, che egli vedeva maturi per il Paradiso o la cui vita egli prevedeva funesta.

Eppure quando fra Girolamo a 78 anni morì, dopo un’agonia di gioia, si toccò con mano lo spessore della sua popolarità. L’infermeria dei cappuccini venne prese letteralmente d’assalto e invano i frati cercarono di salvaguardare la clausura in quella caccia alla reliquia di colui che era definito, così come si poteva percepire dal rumoreggiare della folla, “consolatore degli afflitti”, “protomedico dei languenti”, “padre dei poveri”, “sollievo dei malati”, “padre santo”, “cappuccino devoto, operatore di molti miracoli”.

Una vera e propria litania popolare per definire un umile cappuccino che era stato, molto semplicemente, la narrazione vivente dell’evangelo di Gesù.

Giovanni Spagnolo