ANDREA DA BURGIO

VENERABILE ANDREA DA BURGIO

“VENERABILE ANDREA DA BURGIO, CHE ATTRAVERSASTI COL SALUTO FRANCESCANO I NOSTRI PAESI, PREGA PER NOI”.

Tra le figure di spicco nella santità cappuccina del Settecento siciliano possiamo annoverare la figura quasi leggendaria del venerabile Andrea da Burgio, asceta, missionario e taumaturgo. Nicolò Sciortino, il futuro fra Andrea, nacque a Burgio ai primi di settembre 1705; la sua giovinezza trascorse tra i campi e la cura del gregge, nella masseria di famiglia, se si escludono i rientri in paese per santificare i giorni festivi, fino a quando, rimasto orfano di entrambi i genitori poco più che ventenne, non dovette assumersi il ruolo di tutore dei fratelli e delle sorelle, tra ingratitudini e guai. Arrivato alla soglia  dei trentanni, visto che  Nicolò non parlava di matrimonio, occupato com’era nel lavoro e nella vita cristiana, anzi non nascondeva la volontà di entrare in convento, i parenti, come si usava allora, gli combinarono quello che sembrava un buon partito con una ragazza della Burgio bene. L’affare naufragò provvidenzialmente per un contenzioso che riguardava la dote matrimoniale e Nicolò riprese la spola tra la sua casa e il convento dei cappuccini per chiedere di essere ammesso alla vita religiosa. I ripetuti rifiuti che Nicolò ricevette prima di essere ammesso se da un lato dimostravano l’espansione numerica dell’Ordine, che in quegli anni  oscillava intorno alle trentamila unità – di cui quasi novecento nella provincia cappuccina di Palermo – dall’altro rivelavano un progetto di vita per il quale si richiedevano garanzie di assoluta serietà e impegno. Lo Sciortino, venuto a  conoscenza della presenza del padre provinciale fra Innocenzo da Chiusa, in visita ai frati del convento di Burgio, tornò alla carica per l’ennesima volta, ricevendo ancora promesse vaghe.

Ma Nicolò fece ricorso ad un ingegnoso espediente, dettato dalla sua insistenza evangelica: attese che il provinciale lasciasse il convento di Burgio e si mise a seguirlo, piangendo ed implorando di essere ammesso tra i cappuccini, fino alla porta del convento di Bivona, che è una bella camminata! Era il 1° aprile del 1735 quando finalmente fra Innocenzo firmò la sospirata “obbedienza” con la quale autorizzava il guardiano del convento di noviziato di Erice a ricevervi “ Nicolò Sciortino del Burgio per Laico col nome di Andrea”. Infatti, quando il 23 aprile 1735 ricevette l’abito dei novizi, il maestro fra Ambrogio da Monreale rivolgendosi allo Sciortino, ormai trentenne, gli disse: “con voi sono tre i fra Andrea da Burgio. I primi due, che

vi precedettero, furono ottimi religiosi, voi però in santità dovete sorpassare tutti e due” . Era, quello del maestro, un augurio, che il terzo Andrea da Burgio trasformò in proposito costante percorrendo fino alla fine l’austero sentiero della vita cappuccina. Per quasi un decennio il novello cappuccino peregrinò in alcuni conventi della provincia, a Partanna, Burgio, Pantelleria e Trapani, facendosi notare ovunque per fede, bontà e mansuetudine. Nel 1745 fra Andrea chiese di potersi recare con i padri Gioacchino ed Onofrio da Trapani a dare il suo contributo in Congo, in quella missio antiqua in cui l’Ordine cappuccino era impegnato fin dal 1645 per mandato del papa Paolo V. Questa missione, per le enormi difficoltà di ogni genere incontrate  dai frati che vi avvicendarono, venne designata come il cimitero dei cappuccini. Sappiamo che a Luanda, fra Andrea incarnava il modello di missionario voluto da San Francesco, cioè quello del fratello tra i fratelli, facendosi tutto a tutti e continuando il suo stile di vita austero, noncurante delle fatiche e del clima. Ci volle l’autorità del prefetto apostolico per fargli mutare il saio di ruvido albagio con abito più leggero e convincerlo ad accantonare il mantello e ridurre i digiuni prescritti dalla Regola francescana e dalle Costituzioni dell’Ordine. Nel 1763 fra Andrea venne richiamato in provincia ma prima, precisava l’obbedienza generalizia, il cappuccino doveva fermarsi alla corte di Lisbona su richiesta del re del Portogallo, Giuseppe Emanuele I, figlio di Giovanni V, che aveva paradossalmente firmato  un decreto di espulsione dal regno di tutti i religiosi.

Rientrato a Palermo, ai confratelli che gli chiedevano cosa facesse alla corte di Lisbona, fra Andrea rispondeva tra il serio e il faceto: “facevo da pulcinella”. E il discorso, naturalmente, finiva lì.

Gli ultimi anni di vita di fra Andrea trascorsero nella genuina tradizione cappuccina fatta di contemplazione, penitenza e generosità verso i poveri, accreditando e accrescendo quella fama di santità che il cappuccino di Burgio aveva già prima di partire per l’Africa. Sorella morte visitò fra Andrea da Burgio il 16 giugno 1772, in quella stessa cella convento – infermeria dove aveva finito la sua giornata terrena, un secolo prima, fra Bernardo da Corleone, oggi santo. Molto presto dal sepolcro missionario cappuccino cominciarono a fiorire grazie e miracoli, rinsaldando quel vincolo di affettuosa vicinanza mai interrotto, soprattutto con i suoi concittadini di Burgio, che oggi ne reclamano a gran voce la beatificazione. Intoppi processuali infatti hanno fermato l’iter riguardante la causa di beatificazione  e canonizzazione di Andrea da  Burgio al 09 febbraio 1873 quando papa Pio IX proclamava che l’umile cappuccino siciliano, avendo esercitato in grado eroico le virtù teologali e cardinali, poteva essere chiamato Venerabile. E con questo titolo, dall’antico soprannome del casato, fra Andrea da Burgio viene affettuosamente chiamato dai suoi concittadini; il venerabile Lemmi. Ricordare Andrea da Burgio, missionario cappuccino, nel terzo centenario della nascita, vuole essere per tutti un monito a perseguire quella chiamata universale alla santità, proposta dal Concilio Vaticano li e rilanciata nel nuovo Millennio dal servo di Dio papa Giovanni Paolo II, di venerata memoria, come “misura alta della vita cristiana ordinaria”.

Giovanni Spagnolo