GIULIANO MAYALI

“BEATO GIULIANO MAYALI, AMICO DEI RE E DEL POPOLO CHE CI DESTI IL SANTUARIO DI ROMITELLO, PREGA PER NOI”.

Nato verso la fine del secolo XIV a Palermo, da famiglia borghese, Giuliano Mayali entrò nel monastero benedettino di San Martino delle Scale presso Monreale, al quale nel 1417 donò tutti i suoi beni, e poi si ritirò a condurre vita eremitica presso il dipendente priorato delle Ciambre, ove poté vivere in solitudine e in meditazione. Il benedettino, per le sue indubbie qualità diplomatiche, fu in grande stima presso il re Alfonso d’Aragona il Magnanimo e il re Giovanni, suo fratello: come agente diplomatico, fu inviato ben cinque volte presso il sultano di Tunisi, Omar Othmra, per trattare la pace e la restituzione di prigionieri cristiani. La scelta del monaco per l’importante missione era legata al fatto che il sultano stimava particolarmente frate Giuliano. Nelle sue ambascerie, condotte dal 1438 al 1450, non smise mai di alleviare le pene dei suoi conterranei fatti schiavi dagli arabi. Ottenne, tra l’altro, la restituzione di una nave carica di frumento da Michele Torres, mercante siracusano. Ebbe dal sultano inoltre preziosi doni di seta ed oro, che vennero utilizzati nel suo convento. Dal papa Eugenio IV e dai suoi successori Niccolò V e Callisto III fu incaricato di importanti missioni presso i monasteri siciliani, di ordini diversi, ove si richiedeva il ripristino dell’autorità della chiesa e il rispetto delle regole degli ordini. Guadagnò il perdono del re per il popolo di Palermo, dopo la sedizione del 1450. Per volere dello stesso re Alfonso V, fu il rettore di un nuovo ospedale ed in tarda età fu incaricato di rappresentare il re nel parlamento siciliano, ma appena gli fu possibile tornò a ritirasi nella solitudine delle Ciambre, dove morì il 04 ottobre 1470. Proprio nello santuario di S. Maria del Romitello, da egli stesso fatto costruire e dove fu tumulato, sopravvive ancora la memoria di un monaco benefattore del popolo, benché si siano perdute le tracce della sua sepoltura. Il suo amico sultano lo definì “amico della fede, cristiano ed eremita ritirato dal mondo”. I palermitani lo chiamarono Pater patriae, per le tante imprese portate a compimento a favore dei suoi conterranei. La sua figura appare in alcuni dipinti, nelle chiese di S. Martino, S. Maria del Romitello ed in un rilievo marmoreo della basilica di S. Domenico a Palermo, realizzato da Valerio Villareale.