DON GIUSEPPE FEDELE

DON GIUSEPPE FEDELE (1875-1941)

Giuseppe Fedele nacque a Monreale, il 5 Novembre 1878. I suoi genitori si chiamavano Francesco Paolo e Giovanna Cascino; compi gli studi nel Convitto dei Chierici Rossi sotto la guida del Canonico Gaetano Millunzi e di Mons. Giuseppe Fiorenza. Il Fedele con il suo vigoroso ingegno si aprì a tutti i campi del sapere teologico e giuridico e alla conoscenza perfetta delle tre lingue, greca, latina, italiana, nelle quali compose versi di nitida perfezione formale e di grande forza poetica.

Completò i suoi studi presso l’Università di Napoli dove conseguì la laurea in Lettere e Filosofia. Venne ordinato il 1 Giugno 1901 da S.E. Mons. Domenico Gaspare Lancia di Brolo, nella cappella dell’Arcivescovado di Monreale. Iniziò subito ad insegnare italiano e latino presso l’istituto di Educazione Sant’Anna di Palermo svolgendo un grande apostolato in mezzo ai giovani attraverso una educazione agli ideali di bellezza e di bontà.

Nel 1911 fondò una rivista letteraria quindicinale: “Il Solco”. Vi collaborarono valenti letterati e studiosi, dei quali ricordiamo Gioacchino di Marzo, il grande maestro di tradizioni popolari, Giuseppe Pitrè, Antonio Salinas, lo storico Francesco Guardione, il massimo poeta provenzale Federico Mistral, l’amico G. Minutella Lauria, Achille Leto, Ernesto Nuccio, il popolare autore di libri per ragazzi, il poeta e scrittore mistico D. Tommaso Nediani, l’elegiaco poeta spirito agile e bizzarro che fu Federico De Maria e persino il grande Giovanni Verga. Ma nella primavera del 1915, lo scoppio della prima guerra mondiale uccise quel fiorente virgulto. Tuttavia il Fedele fondò un suo istituto il Torremuzza, dirigendolo per circa venti anni e profondendovi le migliori energie della mente e del cuore. A Monreale, saliva sempre il Giovedì Santo insieme con D. Girolamo Daidone direttore del “San Rocco” di Palermo per concelebrare la Messa del Crisma.

Nel 1938 il Fedele ritornò a Monreale come Direttore del Convitto Guglielmo II carica che tenne fino alla morte avvenuta il 7 Gennaio del 1941, approdò finalmente a quella luce che aveva invocato nelle ore di grigia desolazione ma anche di altissima elevazione. Dalla sua famiglia e dalla formazione Sacerdotale egli trasse un grande, appassionato amore per Cristo e per il Vangelo. Il Vangelo fù il “suo” libro. I suoi versi allora ci rivelano un poeta fortemente religioso, la cui poesia si ispira a Manzoni, Giacomo Zanella, Clemente Barbieri, Tommaso Nediani. Riportiamo le tre composizioni che ci parlano della Cattedrale, del Chiostro e della Conca d’oro. Ricordiamo inoltre i sonetti: “Raxalicheusis” = Realcelsi, dove si trovava la cosa estiva del canonico Gaetano Millunzi.

I suoi resti mortali dal 19 Aprile del 2000 riposano nella chiesa della SS. Trinità del Collegio di Maria di Monreale, in attesa della Resurrezione.

 LA CATTEDRALE

Appena v’entri lo stupor ti ferma

su la soglia… e un miracolo tu vedi. D’archi sublime vedi e di fastigi,

su colonne granitiche levarsi

l’immersa mole de le tre navate bianche di marmi, fulgide di gemme,

onde si veste e palpita iridata d’immagini e d’istorie ogni parete.

È, più che guardi, più ti attrae l’incanto de le luci che alternansi con l’ombre, nel fulvo sfondo rutilante d’oro.

Tra un’infinita varietà di tinte,

di figure, di fregi, l’occhio spazia

come in un cielo di prodigio e scorre,

di riquadro in riquadro, or le giornate

del Signore che crea, ora le istorie

del Patto antico ed or quelle del Nuovo, e di Pietro e di Paolo:

tutto un mondo di vita innumerevole che assempra, con segni eterni,

l’epopea di Dio.

Quello ch’era lontano e fu compiuto

è qui presente e compiesi: il passato

si perpetua ne l’attimo; la vita

nel suo flusso immortale è qui fermata

nei suoi tratti immutabili ed eterni. I profeti coi cavi occhi immoti

leggono ancora nel futuro: i Santi

allineati, dritti, magri in volto

ferman lo sguardo ne la lor certezza:

I serafini tutti volto ed ali,

come in un’ansia d’aspettazione,

premon le penne trepide di volo:

e rinasce, dai secoli aspettato,

il Pargolo, sbocciando come un fiore

da l’umiltà regale di Maria.

Ma se al sommo de l’abside tu guardi, ogni forma ti par si ricomponga

in un’attesa estatica e le scene del mirifico dramma,

popolate di mille e mille anime,

lontana plenitudine,

quasi di natanti pulviscoli

entrò un raggio che li accende, riprofondano assorte e circonfuse

da la ribalenante correntia

d’una sola canora anima immensa.

E su da le navate, su per gli archi,

su dagli amboni,

su per le colonne da le nicchie,

dagli angoli, da l’ombre

de le concavità misteriose

tu senti, senza cetra e senza voce,

come un’immensa sinfonia salire

a quella sommità, dove il Possente,

la mano alzando a benedire, guarda

come non guarda l’uomo ed ha negli occhi tutto il passato e tutto l’avvenire.

IL CHIOSTRO

Entri e ti trovi già fuori del mondo.

Un divino silenzio occupa il luogo

e alla divina pace,

tra le forme pure di beltà, concluse

nel lor  sereno incanto,

ancor di anele anime erra il sospiro.

Movendo per i taciti ambulacri,

d’ombre fiorir vedi la luce,

come d’immagini soavi

la pace: e, ai quattro lati, in doppia fila,

delle snelle colonne

si profila la lunga teoria.

S’inquadra al sole, per gl’intercolunnii,

il verde luminoso de le aiuole,

cui gli steli marmorei

e l’ombra ed il silenzio fan ghirlanda.

Armonioso serto.

Che a gara il sol con la bellezza infiora.

Regge ogni stelo un suo leggiadro cesto,

onde di nuova grazia s’incorona

il leggiadro corteo

delle bianche canefore,

in attesa di procedere al rito

d’una votiva offerta di primizie.

Mentre su loro l’anse de le ogive,

parte chiare di sole e parte ombrate

s’incurvan per unirsi,

come supplici braccia alto levante

che delicatamente

congiungano le palme e la preghiera.

e, andando, ti sorprende un suono d’arpa

donde venga non sai… vai, vai…

come chi va nel sogno.

l’acqua ritrova l’acqua ne la vasca

che a un angolo ti canta

il divino poema del silenzio.

LA CONCA D’ORO

Se un’imagine vuoi del Paradiso Par che i borghi s’assembrino,

in un’ora del vespro solitaria, or raccolti tra il verde,

affacciati al balcone del Giardino. ora esultando sulle balze,

E ti parrà, guardando, di sognare. lungo le falde, su per i pendii

Vedrai, fra i monti e monti, l’opulenta aspettando un mistero che si compia.

convalle digradare, dolcemente E il sol che indugia,

spiegandosi in un molle ondeggiamento che non vuol partire,

d’ubertose colline e poi slargarsi i suoi ori diffonde e le sue porpore

nel piano immenso che ha Palermo e ne asperge le cime e vibra e tremita

ai piedi e quindi il mare. su la grazia dei poggi che s’incurvano

Un’armonia divina di colori, ora lambisce i prati che s’arrossano,

di forme, d’aer puro sale, sospirando a la pace che le bea.

di cosa in cosa luminando, I giro i monti tenendosi gelosi

silenziosamente  e si confonde di sostener sospesa e inviolata

con l’infinita musica del cielo. la trasparente purità del cielo…

Pare tra mare cielo, un santuario e mentre guardi…

immenso che tra due infiniti ascenda. L’anima in ginocchio

E par che tutte, dove l’occhi spazia, ba congiunte, ne l’estasi, le mani

come un senso di Dio abbiano le cose

e tutte mova un’ansia di salire.

Vedi, tra colli e piani, ove soffuso

dai  pallidi vapori degli ulivi,

fulvo s’imbosca e fluttua vasto il cedro,

rocce e balze esultar, piagge elevarsi

e pei clivi, nei piani, su l’alture,

ridere lembi teneri di prati,

ascendere sentieri abbrividenti

e, a mille, or bianche o rosee,

con gli orli dei tetti ombrati,

come cigli chiusi,

sporgersi qua e là sparse ville.

Bibliografia:

Petralia Giuseppe, Giuseppe Fedele, sacerdote e poeta monrealese, Monreale 1979

Dalla “Voce del seminario di Monreale”