IL PADRE NOSTRO: PAROLE DI SPERANZA

Carissimi , vorremmo dirvi parole di speranza… ma che significa “sperare”? Sperare non è attendere passivamente che qualche cosa avvenga e che avvenga come vorremmo.

Il contadino spera nel raccolto perché ha seminato, lo studente spera la promozione perché ha studiato, il malato spera la guarigione perché si è curato. Io ce la metto tutta così posso sperare. Per sperare ci vuole una motivazione: io spero in Dio perché Dio è fedele e la sua Parola è eterna, paragonabile ad una roccia sulla quale devo edificare la casa della mia vita (cfr. Mt 7,24-25). La nostra sicurezza, la nostra forza e il nostro conforto sta nella Parola di Dio: Chi radica la sua vita sulla roccia della Parola di Dio  sa sperare e quindi è più fiducioso e sereno e affronta meglio le difficoltà, il dolore ed anche la morte. “Hai un Vangelo? Leggi il Vangelo. Quanta luce da queste Parole divine! Gesù dice: “Venite a me voi tutti che siete stanchi e troverete riposo in me”. Gesù dice: “Beati coloro che piangono perché saranno consolati”. Gesù dice: “Io sono la risurrezione e la vita”. Gesù dice: “Vi do la mia pace”…”Vi do la mia gioia”.

Quante parole di luce nel Vangelo! Quando Gesù mette sulle mie labbra il “Padre Nostro” mi fa fare un atto di speranza. Perche? Il Padre Nostro è pagina di Vangelo, è Parola di Dio. Gesù mi insegna a chiamare Dio “PADRE”. Vuol dire che Dio mi ama più del più buono dei padri e più delle più amorevoli madri della terra. In lui è la sorgente della vita, di una vita che non finisce mai e che lui mi partecipa perché anche la mia vita non finisca mai. In lui è la pienezza della gioia e lui della sua gioia mi vuole fare partecipe, anche se per arrivarci la strada da percorrere è piena di difficoltà perché così ce la siamo fatta noi, buttando gli uni su gli altri i nostri errori… i nostri peccati.

Devo avere fiducia in lui, mi devo abbandonare tra le sue braccia, devo credere al suo amore con fede e coraggio. Lui soffre con me, è vicino al mio dolore, raccoglie le mie lacrime nel suo cuore, mi consola, mi dà forza. Il mio dolore è prezioso ai suoi occhi. La mia preghiera per la salvezza del mondo diventa potente insieme a quella di Gesù crocifisso,  a quella di Maria, la Madre addolorata. Ma la risurrezione di Gesù, per la volontà del Padre, è pure la mia resurrezione e la mia gloria. Ascolta cosa dice la Scrittura: “Come una madre consola il suo figlio così io ti consolerò”. Impara a fare questa preghiera di S. Paolo, se puoi imparala a memoria: “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione” (2 Cor. 1,3-4).

Quando dico: “CHE SEI NEI CIELI” non dico che Dio è lontano ma che è diverso dalla mia condizione umana. Io sono limitato nel tempo, chiuso in un piccolo spazio. Dio no: vede più di me, può più di me. Io voglio vedere risolti i miei problemi entro la mia breve esistenza. Dio vede anche dopo e Gesù mi dice che c’è un “dopo” migliore del “prima”. Devo affidarmi alle risorse di questo Padre onnipotente: avere fiducia! Avere fiducia! Devo “entrare in onda” con i suoi pensieri, vedere le cose, le circostanze, la vita, la morte “con i suoi occhi”. Quando dico: “nostro” io sono invitato a pensare  che il cammino della vita io faccio con tante altre persone e che ognuno ha il suo affanno, il suo dolore, le sue pene. Solo se ci comprendiamo scambievolmente e se ci diamo una mano possiamo sperare in una convivenza fraterna più consolante. Chi ha una pena, una malattia, un guaio è portato a ripiegarsi su di sé,  a pensare solamente a sé. Qualche volta si è esigenti e anche arroganti. Così però si corre il rischio di diventare “pesanti” agli altri ed anche di farsi rifiutare: Bisogna pensare che anche quelli che assistono i malati hanno le loro stanchezze, i loro acciacchi, le loro preoccupazioni. Come sarebbe bello ringraziare chi ci assiste nella malattia… usare un po’ di cortesia nel chiedere l’aiuto di cui abbiamo bisogno… farci “leggeri”.

Il malato ha diritto a una cura competente, amorosa e attenta, ma anche l’infermiere ha bisogno di un po’ di gentilezza. La persona esige un’attenzione personale: nessuno vuole essere un “numero” o un “caso”. Quando si è assistiti con amore anche il dolore diminuisce. Il malato: “Io non posso credere che Dio mi ama se tu non mi manifesti il suo amore”. L’infermiere: “Tu mi rappresenti Gesù: devo curarti con attenzione e delicatezza ma anche io devo essere per te Gesù che soccorre e cura”. Il malato: Se tu mi manifesti l’amore di Dio io mi sentirò meglio, mi sentirò meno solo, lotterò contro il male con più voglia di vivere, potrò credere che il Padre del cielo mi ama”. Quanta sofferenza in meno, quanta solitudine e angoscia in meno quando c’è l’amore! Quando attorno al letto del malato c’è pace, serenità, preghiera, allora c’è un po’ del Regno di Dio e Dio è benedetto dalle labbra e dai cuori.

Non portate problemi al malato… Non raccontategli guai… Non lo avvilite, non lo scoraggiate… È molto importante la serenità attorno al letto del malato. E poi, preghiamo insieme agli altri, preghiamo da soli. Quante notti bianche nei nostri letti, allora parliamo col nostro Padre celeste, parliamo con Maria la Madre di Gesù e Madre nostra, parliamo con il nostro Angelo custode perché ci aiutino a credere alla bontà della volontà di Dio. Come può mandarci dei mali Dio se è il primo a soffrire dei nostri mali? I mali ce li siamo procurati e ce li dobbiamo affrontare il dolore insieme a Gesù, che ha sofferto per non lasciarci soli nella sofferenza. Gesù ci dice che Dio è solidale col nostro dolore e vuole la nostra santificazione non la nostra disperazione.

Senti quello che dice S. Paolo: “Pregate incessantemente, ringraziate, siate lieti perché questa è la volontà di Dio”. E tu, caro visitatore, non fare, per favore, inviti alla  rassegnazione, al coraggio, alla pazienza, quando qualche sofferente si lamenta, piange o anche… impreca. Lascia che chi soffre si sfoghi. Dio comprende. Proprio perché io credo che Dio mi ama posso sfogarmi con lui. Se tu parli puoi esasperare, irritare, fare esortazioni inopportune. Taci, stai vicino delicatamente, prendi la mano, dai una carezza, fai capire che capisci, che vuoi aiutare in qualche modo. Il malato non solo è tormentato dal suo male ma perché dovrebbe essere anche colpevolizzato se si lamenta? Se chiede: perché Signore mi abbandoni? Caro malato, hai bisogno di piangere? Piangi ma non continuare sempre… sfogati e poi rasserenati… anche le nuvole in cielo fanno così… piove e poi passa e torna il sole. Questo Dio vuole che con l’aiuto fraterno, concreto, affettuoso, ci alleviamo gli uni gli altri la sofferenza, e questo noi lo speriamo perché questo non ci mettiamo a fare concretamente. Ascolta questa preghiera. Ti piace? Non l’ha fatta un ricco ma un povero indio dell’America Latina: “Dammi, Padre mio, il pane di ogni giorno. Ma il pane da solo non basta, dammi anche un cuore che si accontenti dei doni che mi dai. E, ancor più, dammi, Padre, due mani che mi servano a condividere il pane che mi dai con coloro che non hanno da mangiare”. Questo vuol dire che quando chiediamo qualche cosa per noi dobbiamo pensare che anche gli altri possano averne bisogno. Capita spesso che negli ospedali i malati, o coloro che assistono un malato, diano una mano anche agli altri nei loro momenti di difficoltà e di solitudine. È molto bello quando ci sono queste manifestazioni di solidarietà e il nostro dolore non ci fa diventare egoisti: è come condividere il pane dell’aiuto e del conforto.

Si fa anche amicizia, nell’ospedale, si chiacchiera, ci si scambiano indirizzi, ci si scorda un po’ dei malanni, però… stiamo attenti a non creare rumore, confusione. Ah, quella televisione!… Abbassa il volume per favore!… qualcuno ha bisogno di un po’ di silenzio, di tranquillità, del sonno come del pane. E poi c’è il “pane dell’Eucarestia”  che ti porta il cappellano o il ministro straordinario della comunione, ma non riceverlo distrattamente… non è una caramella o una pillola da mandar giù. È il Corpo prezioso di Gesù che ci viene a fare partecipi della sua vita e della sua immortalità. Fermati, prega, ringrazia. E poiché la serenità del cuore si riversa come benessere anche sul corpo, celebra il Sacramento della riconciliazione.

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