TERZO MISTERO DOLOROSO – SECONDA PARTE

I carnefici portano Gesù nel cortile del palazzo del governatore e chiamano anche il resto della truppa.  Gli mettono addosso un veste rossa, preparano una corona di rami spinosi e gliela posano sul capo. Poi cominciano a salutarlo: “Salve, re dei Giudei!”. Con un bastone gli danno colpi in testa, gli sputano addosso e si mettono in ginocchio in una derisoria adorazione. Fissiamo per un istante il volto di Gesù in questo momento cruciale della Passione: Gesù è vestito con un manto rosso da burla, il Suo capo coronato di spine con le foglie ancora fresche perché colte da poco, spine che sotto i colpi penetrano tormentando la carne; le Sue mani sono legate come quelle di un pericoloso delinquente; in una gli pongono una canna al posto dello scettro regale; dai Suoi occhi sgorgano lacrime. Gesù non piange su di sé, piange sulla malvagità degli uomini e sui loro peccati. Ma soprattutto quelle mani legate fanno rabbrividire; immagine di un uomo ridotto all’impotenza assoluta, di un uomo privato di ogni dignità…: “disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia (…) egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori (…) egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità” (Is 53,3-5). Che spettacolo indegno dell’umanità! A ragione il salmista può esclamare “ ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: “Si è affidato al Signore, lui lo scampi, lo liberi se è suo amico” (Sal 21,7-9). Gesù! Non ero anch’io presente quel giorno pronto a incoronarti di spine, a schiaffergiarti , a colpirti di sputi con il mio orgoglio, il mio permissivismo morale o, come scrive l’Apostolo Paolo, con le opere della carne: “fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge o cose del genere” (Gal 5,19-21)? E le umiliazioni e le sofferenze di Gesù non finiscono qui. Dopo averlo insultato e maltrattato, i suoi carnefici gli tolgono la veste rossa e lo rivestono dei suoi abiti; la carne di nuovo viene lacerata con rinnovato spargimento di sangue.

La coronazione di spine è un fatto unico nell’intera storia dell’umanità. Non esiste alcun documento o testimonianza scritta che provi un fatto simile, cioè che ad un altro uomo sia stata posta sul capo una corona di spine. Dalle testimonianze degli evangelisti noi conosciamo invece questo fatto eccezionale, senza precedenti per la sua brutalità e ferocia. Sappiamo con certezza assoluta che nel cortile del palazzo di Ponzio Pilato a Gerusalemme un venerdì mattina, il più drammatico venerdì che l’umanità abbia vissuto, il capo di Gesù è stato cinto con una corona di pungentissime spine. Questo fatto trova conferma nella sacra Sindone, su cui i segni di tale atrocità sono chiaramente visibili. Non si è trattato di una corona di spine a forma di cerchio, ma di un vero “elmo” di spine, le quali hanno provocato emoraggie in tutta la testa inondando di sangue i capelli di Gesù.

Ma perché tanto odioso accanimento contro Gesù? Ci offre la risposta l’evangelista Giovanni. Gesù si è proclamato re ufficialmente davanti al governatore romano: “tu lo dici, io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). E continua l’evangelista: “Pilato intanto uscì di nuovo e disse perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa”. Allora Gesù uscì. Portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: “Ecco l’uomo!”. Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: “Crocifiggilo, crocifiggilo!” (Gv 19,4-6). Pilato, non sapendo cosa fare, preoccupato e impaurito, domanda: “Metterò in croce il vostro re?”. Risposero i sommi sacerdoti: “Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare” (Gv 19,15). Si compie così alla lettera quanto Gesù stesso ha già annunciato: “(Il Figlio dell’uomo) Sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà” (Lc 18,32-33).

I suoi aguzzini vogliono quindi mettere in ridicolo il titolo di re che Cristo si è attribuito davanti a Pilato e che i Giudei hanno già rigettato. I soldati di guardia lo sanno bene e prendono spunto dall’atteggiamento ostile dei capi del popolo per mettere in scena la crudele e irreverente derisione.

Eppure quel gioco crudele inconsapevolmente sottolinea in tutto il suo splendore la verità: quel re che nessuno vuole, quel re ridotto a una larva d’uomo è paradossalmente l’unico dell’universo: sotto quella tragica scena c’è la grandezza del Re dei Re. L’intero creato e tutte le schiere celesti dipendono da un gesto delle Sue mani. Il Suo è un regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace. Mentre contempliamo il volto sfigurato e coronato di spine di Cristo Re ci accorgiamo con sempre maggior ragione è un oceano infinito di amore. Pilato lo presenta alla folla dicendo: “Ecco l’uomo!” (Gv 19,5). Guardiamo questo uomo-Dio. Dinanzi ad un così triste spettacolo non possiamo rimanere indifferenti. Con l’Apostolo Paolo dobbiamo gridare: bisogna che Cristo regni (cfr 1 Cor 15,25).

Nel contemplarlo Re con una corona di spine sul capo, fermiamoci e diciamogli: Gesù, voglio che tu regni nella mia vita, nel mio cuore, nei miei pensieri, nelle mie parole. Gesù! Tu sei re di tutte le cose che esistono, come afferma l’evangelista Giovanni: “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui” (Gv 1,3); ma, in special modo Tu sei il re di tutti gli uomini, “comprati a caro prezzo” (1 Cor 6,20), cioè con il tuo sangue prezioso, quale agnello senza difetti e senza macchia (cfr 1 Pt 1,18). E con tutto ciò, sono molti ancora coloro che non Ti accettano, o Signore. Ci sembra di ascoltare quel grido spaventoso di rifiuto: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi” (Lc 19,14).

Quante volte, o Signore, ho lanciato anch’io questo grido; forse non a parole, ma coi fatti, con il peccato. Peccare è rifiutare Gesù. E dove regna il peccato, regnano l’oscurità, la tristezza, la desolazione, l’inganno, la falsità. Signore! Fà che io sempre possa ripetere: Tu sei il Re del mio cuore, Gesù, Ti prego, regna dentro dime. “Signore, Tu sai tutto, Tu sai che io Ti amo” (Gv 21,17).

Ma il mio amore riconoscente per quanto hai fatto per me, o Gesù, sottomettendoti alle sofferenze fisiche più atroci, non può rimanere semplicemente nelle mie intenzioni: lo devo dimostrare con la mia vita mediante un sempre maggior impegno per mettere in pratica quanto mi viene consigliato dall’Apostolo Paolo: “Fratelli, mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono” (Col 3,5-6); “rivestitevi dunque, come eletti di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, sopportatevi a vicenda e perdonandovi scambievolmente (…) Come il Signore vi ha peronato, così fate anche voi” (Col 3,12-13).

DON GIAMPAOLO

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