GESÙ RIVELA LA MISERICORDIA DEL PADRE

Il cap. 15 di Luca, dopo i vv. 1-3 che fungono da introduzione, è dedicato alle cosiddette “parabole della misericordia”: la pecora smarrita (vv. 4-7, cf. Mt 18,12-14), la dracma perduta (vv. 6-10) e la più conosciuta e amata parabola del padre misericordioso (vv. 11-32). Stranamente al v. 3 Luca parla di “parabola” al singolare, ma poi Gesù ne racconta tre, come se ognuna fosse una formulazione diversa di una stessa parabola: l’invito a condividere la gioia per qualcosa/qualcuno che era perduto ed è stato ritrovato. La terza parabola è quella che ha una trama più ricca ed articolata e si può dividere in tre parti: partenza e perdizione del figlio minore (vv. 11-19), suo ritorno e accoglienza del padre (vv. 20-24), contestazione del figlio maggiore (vv. 25-32).

vv. 11-19: L’inizio, “un padre aveva due figli”, apre la strada a tre tipi di relazione: paternità, figliolanza e fratellanza. Subito dopo, il figlio minore mina qualsiasi tipo di relazionalità, chiedendo anticipatamente la sua parte di eredità. Il padre acconsente e divide il suo patrimonio a entrambi i figli. Dopo qualche giorno il figlio minore parte per un paese lontano dove “sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto” e, come il fratello maggiore dirà al padre, “ho divorato le tue sostanze con le prostitute” (v. 30). L’illusione effimera della libertà e della ricchezza lo travolge in un gorgo che lo fa sprofondare nell’abiezione, perdendo la dignità di figlio e di uomo, precipitando sempre più in basso fino a desiderare il cibo dei porci, animali impuri per gli israeliti (cf. Lv 11,7). Solo allora si rende conto della profonda differenza con i salariati di suo padre e decide di ritornare, per fame (cf. v. 17), pensando al discorso da fare al padre.

vv. 20-24: Appena il padre lo vede da lontano, una gioia viscerale lo assale, gli corre incontro, lo abbraccia e lo bacia, gli lascia appena pronunciare che ha peccato, ma non la parola “servo”, reintegrandolo nella dignità di figlio, oltre ogni ragionamento umano: gli fa indossare il vestito più bello, mettere l’anello al dito e i sandali ai piedi e per festeggiare fa ammazzare il vitello più grasso, che per i Padri della Chiesa è il centro della parabola in quanto figura di Cristo. Ogni parola (vestito, anello, sandali, vitello grasso) è carica di significato: è la storia della salvezza che Dio Padre prepara per ogni figlio e che si compie in Gesù Cristo, il quale dirà a Zaccheo: “Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (19,10).

vv. 25-32: A questo punto entra in scena il figlio maggiore, di ritorno dai campi, il quale, informatosi con uno dei servi, non vuole entrare per condividere la gioia del padre per il fratello ritornato. Sempre il padre va incontro al secondo figlio per parlargli ed è davvero molto bello il gioco di rimandi dell’aggettivo possessivo “tuo”: da una parte il figlio maggiore dice al padre “tuo figlio” (relazione fraterna rifiutata), dall’altra il padre risponde dicendogli “tuo fratello” (relazione fraterna offerta). Dunque, il padre non aveva due figli, ma due schiavi (cf. vv. 19.29), assuefatti a una relazione di tipo servile, legati ancora alla logica economica del dare e dell’ avere. La parabola si conclude con la gioia del padre per il figlio ritrovato, ma ha un finale aperto: non sappiamo se il figlio maggiore entrerà. Ogni lettore a questo punto è chiamato a rispondere e confrontarsi col chiaro invito che Gesù ci rivolge:”Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (6,36). San Francesco nel Cantico delle Creature dirà:”Laudato si’, mi’ Signore per quelli che perdonano per lo tuo amore” (FF263). Sulla strada del mio ritorno, l’accompagnatore spirituale di allora mi consigliò di leggere due libri di Henri Nouwen: “A mani aperte” e “L’abbraccio benedicente”. Casualmente le copertine di entrambi mostrano delle mani e la seconda raffigura un particolare del “Ritorno del figlio prodigo” di Rembrandt, con le mani del padre, una maschile e l’altra femminile, che simboleggiano la paternità e la maternità di Dio. Oggi posso dire che solo quando ho aperto le mani e abbandonato la monetina ho potuto sentire il calore di quell’abbraccio, capire che da tempo Qualcuno mi cercava e che ancora non si è stancato di cercarmi!

GIUSEPPE  TABBUSO

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