LA VERA DEVOZIONE A MARIA È  ESSERE MISERICORDIOSI

«Vergine Madre, se tu non riappari, anche Dio sarà triste». Comincia con i versi di David Maria Turoldo la relazione di Padre Ermes Ronchi , religioso dei Servi di Maria e già apprezzato commentatore del Vangelo nella rubrica “Le ragioni della speranza”, che era trasmessa da Rai Uno ogni sabato.

Nell’ultima delle catechesi sulle opere di misericordia, tenutasi in Basilica il 27 aprile, il relatore si sofferma su un tema caro ai devoti della Vergine del Rosario: Maria, Madre di misericordia. Dice tra l’altro, come commento alle parole del poeta-confratello Turoldo: «Se non ritorni a rivelare quel Dio che seduce ancora perché parla il linguaggio della gioia.

Se non riappari accanto alle infinite croci dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli, come cura e compassione; se non riappari come presagio di felicità, come gioia del credere, che è la prima beatitudine del vangelo: “beata colei che ha creduto”; se tu non riappari la nostra fede sarà povera e il volto di Dio perderà bellezza».

Parole he sintetizzano tutta la grandezza e la potenza di Maria, che pure è «nostra vera sorella d’umanità». Non si può non amare, la devozione autentica, deve concretizzarsi nella sua imitazione. «La dichiarazione determinante del Concilio, ricorda Ronchi, è riportata nel capitolo VIII della “Lumen Gentium”: la vera devozione consiste nell’imitazione delle virtù umane ed evangeliche di Maria. Vera devozione non è moltiplicare rosari, accendere candele, fare pellegrinaggi , nominare Maria; vera devozione è diventare come lei.

Madri di misericordia. Non si prega per mendicare qualcosa, ma per ottenere lei, per essere trasformati, diventando prolungamento tra i fratelli della sua presenza tenera e forte. Vera devozione è diventare come lei: persone annunciate, persone gravide di Dio, servitori del regno inutili ma inesausisti, che si prendono ura del Dio bambino inerme fra noi, come lei e Giuseppe nella fuga; che si prendono cura della vita in tutte le sue forme, dei rifugiati, dei migranti , dei naufraghi come del proprio bamino. Donatori di vita. Misericordiosi». Tutti i cristiani dunque sono chiamati ad essere il Padre .Misericordiosi .E il mariologo spiega la parola “misericordia”, impoverita dagli uomini nel suo senso pieno. Lo fa con un’immagine. «Misericordia- dice – comprende e convoglia tutto ciò che serve a tutta la vita dell’uomo. In ebraico, come sapete, misericordia si dice rahamin, un termine che è il plurale di rehem, utero, grembo da cui proviene la vita. Non possiamo ridurre mai la misericordia a perdono di colpe passate, non dobbiamo mai separare l’idea  di misericordia dall’immagine di generazione; è indissolubilmente legata alla metafora dell’utero di madre , la misericordia-grembo rivela un dio che presiede ad ogni nascita, ad ogni rinascita. Infatti la misericordia per eccellenza si realizza nel grembo di una donna, quando accoglie in sé un seme di vita e restituisce un frutto: benedetta tu fra le donne e “benedetto il frutto del tuo grembo. Noi tutti viviamo perché una donna un giorno ci ha detto il suo sì, ci ha ricevuto e  ha accolto nel suo grembo , ci ha offerto e ci ha fatto vivere della sua misericordia-rahamin. Maria è madre di misericordia prima di tutto perché accoglie nel suo grembo il figlio di Dio, come terra pura protessa granello per granello solamente ai semi dello spirito. Davanti a lei Dio si inchina e attende il suo sì, attende la misericordia primordiale che solo lei può accordargli: un grembo in cui farsi carne. Maria è misericordiosa con Dio .Lo  accoglie e gli offre la sua vita. La misericordia assoluto è accogliere Dio, essergli madre, essergli casa, aiutarlo a incarnarsi, a rimanere vivo in questo mondo ostile e in questo cuore distratto». Un Dio che abita dunque il cuore dell’uomo e lo trasforma . Molto bella la citazione proposta da Ronchi, tratta dai pensieri di Etty Hillesum, giovane scrittice ebrea olandese, uccisa nel capo di sterminio di Auschwitz il 30 novembre 1943:«Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi, ma ti prometto una cosa, soltanto una piccola cosa: cercherò di aiutarti affinchè tu non venga distrutto dentro di me. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi. E forse così possiamo contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini». Ronchi ha poi analizzato alcuni versi della “Salve Regina”. In particolare le parole «volgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi». Maria, spiega ancora, «non ti toglie dalle lacrime, ma è con te nelle lacrime, non protegge dal dolore ma nel dolore, non ti evita la sofferenza ma è con te nella sofferenza. Ma così agisce Dio: non salva Gesù dalla croce ma nella croce. E sai di essere guardato, sai che qualcuno ha cura, attenzione, cuore per te. Non sei gettato via, affidato solo a te stesso e ai tuoi naufragi. Non sei uno scarto o un bambino gettato nel cassonetto, ma affidato alle cure di una madre. Una madre accanto al letto del figlio malato non lo può guarire, non è un chirurgo che strappa via il male dal corpo, ma può alleviare le sofferenze del figlio con la sua carezza, puo dare conforto, che significa un di più di forza, non lasciarlo solo a lottare con le sue paure. Occhi misericordiosi che non portano la soluzione del problema, ma portano un respiro che si intreccia col tuo respiro. Dio non porta la soluzione dei problemi ma porta se stesso dentro i problemi». Anche in questo, nell’avere occhi misericordiosi, occorre osservare e imitare Maria.  La Madonna guarda i suoi figli con misericordia e parla con misericordia. Le sue parole ne sono intrise. Anche nel Magnificat:«Di generazione in generazione si stende la sua misericordia» (Lc 1,50) e «Ricordandosi della misericordia» (Lc 1,54). Afferma ancora Ronchi:«è tutto il contenuto del Magnificat ad essere vangelo della misericordia. Misericordia è una parola composta di due parole: misero e cuore. E sono due parole che riempiono la Bibbia. Aver cuore per i poveri. Il canto di Maria è anche l’inno dei “poveri del signore”, gli anawin d’israele, che si affidano totalmente a Dio. Irrompono nel canto e riempiono il Magnificat, come hanno riempito tutta la Bibbia, e la storia, e il cuore di Dio. I poveri non hanno storia, né azioni memorabili,né archivi , e neanche Maria sfugge per poco, solo per quel suo figlio, all’anonimato della storia di tutti i poveri. Ma Dio fa storia non con i potenti e le loro azioni spettacolari, ma con piccole cose, dentro lo spazio sacro della vita:un ventre che lievita, una ragazza che dice sì,un grembo sterile che è fiorito in cui, nell’abbraccio delle madri, danza di gioia un bimbo di sei mesi. Dio viene, non ruba niente e dona tutto;viene,e il suo arrivo re-incanta la vita»

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